BONTADINI Francesco

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Milanese di razza, figlio di un usciere della Cariplo e di una sarta, Francesco detto Franco gioca a football sin dall’adolescenza e debutta a 16 anni nella prima squadra dell’Ausonia. Nel 1910 passa al Milan, dove rimane una sola stagione, con 7 presenze ed una rete. Ama anche la montagna: sa sciare ed è solito anche arrampicare, perfino sul Cervino. Nel calcio ha il ruolo di centrocampista avanzato, dotato di gran talento, regista dall’ottima visione di gioco e dal buon dribbling, sa anche segnare. Nel 1911 l’Inter lo strappa ai cugini rossoneri e Bontadini diventa presto una colonna portante della squadra, dove rimane fino al 1920, comprese le pause dovute prima agli studi di medicina (con tanto di laurea a Pavia) e poi alla guerra. La prima stagione di Bontadini in maglia nerazzura, 1911-12, è brillantissima (18 presenze e 14 reti), al punto che il CT Vittorio Pozzo, all’esordio sulla panchina azzurra, lo include nella lista per i Giochi di Stoccolma, cui prendono parte 11 nazioni in un torneo ad eliminazione diretta. Il sorteggio pone di fronte ai nostri i finlandesi.

La gara si gioca il 29 giugno alle 11 di mattina, al Tranebergs Idrottsplats, nella parte settentrionale di Stoccolma, presenti 600 spettatori. E’ il primo match in assoluto del torneo. Sulla carta non sembra una partita impossibile, ma i nostri soffrono per il lungo viaggio, tre giorni in treno, ed una sistemazione logistica non proprio ottimale[1]. Le cose si mettono subito male: i finnici passano in vantaggio dopo appena due minuti di gioco, con Ohman. Pareggia proprio Bontadini al 10’, quindi Sardi capovolge il risultato al 25’. Soinio impatta al 40’. Il secondo tempo trascorre senza ulteriori reti. Si va ai supplementari ed al termine del primo extra-time segna Wiberg. I nostri non riescono a pareggiare e vengono malamente eliminati al primo turno. Il torneo verrà vinto, anzi dominato, dai maestri inglesi su Danimarca e Paesi Bassi. L’Italia è relegata nel torneo di consolazione. Il 1 luglio, al Rasunda Idrottsplats di Solna, alle ore 19, di fronte a 2500 spettatori, vinciamo contro i padroni di casa svedesi 1-0, con rete ancora dell’ottimo Sardi al 15’ del primo tempo. Segue il 3 luglio la semifinale del torneo di consolazione, alle 19, all’Olympiastadion di Stoccolma, di fronte a 3500 spettatori, contro l’Austria, che vince nettamente 5-1. Bontadini gioca tutte e tre le partite, confermandosi atleta di livello superiore, al punto che viene nominato miglior giocatore azzurro del torneo. Rimane il fatto però che la parentesi olimpica azzurra appare piuttosto mesta: il 9° posto finale, a pari merito, la dice lunga sul risultato tecnico dei nostri.

Dopo Stoccolma il “dottor” Bontadini trova il tempo soltanto per un’altra apparizione in Nazionale (il 22 dicembre 1912 a Genova contro l’Austria che vince 3-1), poi si divide tra professione e campo da gioco. La guerra interrompe tutto e Bontadini si comporta da eroe. Potrebbe trovare tranquillamente un impiego in un ospedale militare, dove comunque darebbe un contributo importante, invece occulta la sua laurea ed entra, volontario, all’Accademia di Modena. Diventa sottotenente degli Alpini e combatte in prima linea tra Valsugana e Val Cismon. Nell’aprile del 1916 viene ferito al braccio destro, trascorre la convalescenza a casa e poi riparte per il fronte. Nell’ottobre dello stesso anno, sul Monte Cauriol, per il suo ardimento si guadagna una Medaglia di Bronzo al Valor Militare. Molti calciatori, su tutti il suo compagno Ferrari, non ritornano, ma Bontadini riesce a rientrare nell’Inter: nella stagione 1919-20, sia pure con due sole presenze, è tra i protagonisti del secondo Scudetto nerazzurro della storia. Nell’Inter, in totale, gioca 47 partite e segna 28 reti, un ottimo curriculum per un calciatore talentuoso, che ha saputo alternare con successo gioco e lavoro professionale. Terminata l’attività agonistica, Bontadini svolge la professione di medico in uno studio situato in Via S. Andrea[2] dove, per una delusione d’amore, si toglie la vita in piena Seconda Guerra Mondiale, nel gennaio 1943, a 50 anni appena compiuti. La sua passione per la montagna sopravvive oggi in un rifugio sul Cervino, che porta il suo nome. Il fratello minore Gustavo è stato un famoso filosofo e professore universitario.


[1] La spedizione calcistica viene preparata in modo improvvisato, all’ultimo momento, con molta disorganizzazione. Gli azzurri sono alloggiati in una scuola e per mangiare sono costretti a recarsi quotidianamente nell’unico ristorante italiano presente allora a Stoccolma

[2] Oggi una delle vie del famoso “Quadrilatero della Moda”