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Quattro pistard azzurri centrano l’oro tra pugni e ricorsi

100 anni fa i Giochi Olimpici ad Anversa
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Voltare pagina e ricominciare. La Grande Guerra, terminata nel novembre del 1918, aveva portato distruzione e morte, con intere popolazioni ridotte allo stremo, ma che lentamente e con grandi sacrifici, seppero riprendersi. Il mondo dello sport non fu da meno e cercò di ripartire.

Il Comitato Olimpico Internazionale assegnò sorprendentemente al Belgio, uno dei Paesi maggiormente colpiti dal conflitto, l’organizzazione dei Giochi della VII Olimpiade. Fu una scelta simbolica, in quanto le gare si disputarono a soli 21 mesi dalla firma dell’armistizio. Quei giorni di rinascita, però, rappresentarono anche un motivo d’orgoglio per lo sport italiano.

Il 10 agosto del 1920, quattro giorni prima della Cerimonia di apertura dei Giochi di Anversa, nella città giardino di Wilrijck, l’Italia del ciclismo conquistò la prima medaglia d’oro. Un’impresa di cui oggi ricorre il Centenario. Un successo da celebrare, ma soprattutto da raccontare per il modo rocambolesco in cui si svolsero i fatti. La spedizione azzurra, guidata dal Commissario Tecnico Eberardo Pavesi, partì per Anversa non senza polemiche per alcune scelte definite dubbie.

La prova di inseguimento a squadre sui 4000 metri si disputò al Velodrome Zuremborg, un impianto da 14.000 posti, quasi sempre deserto, ma che fece particolarmente divertire le poche centinaia di spettatori presenti. Otto le squadre partecipanti che si sfidarono in prove ad eliminazione diretta suddivise in due giornate. Il quartetto azzurro era composto da quattro pistard lombardi: l’esperto 28enne pavese Primo Magnani; i milanesi Ruggero Ferrario e Arnaldo Carli (rispettivamente di 22 e 19 anni) e dal non ancora 18enne Franco Giorgetti, originario di Bovisio Masciago.

Nel primo turno gli azzurri non ebbero problemi nel superare, con almeno 190 metri di vantaggio, la Francia di Enguerrand, Habent, Courder e Faucheux. Negli altri testa a testa i padroni di casa del Belgio vinsero di misura sugli Stati Uniti; mentre, Gran Bretagna e Sudafrica, sconfissero agevolmente i Paesi Bassi e il Canada. In semifinale, invece, fu tutta un’altra storia. Il quartetto azzurro, con una media di 46,451 km./h, sembrò poter chiudere senza troppi patemi la sfida con il Sudafrica (Smith, Walker, Goosen, Kaltenbrunn), ma accadde qualcosa di incredibile.

Un giudice di gara commise un errore imperdonabile e decretò, con il classico colpo di pistola, il fine gara per gli avversari con mezzo giro di anticipo. L’errore dello starter influenzò chiaramente il risultato, per cui il team sudafricano fece ricorso, ma la giuria sentenziò che “il vantaggio era già molto netto”, per cui gli azzurri volarono in finale. Ma le sorprese non finirono per Magnani, Ferrario, Carli e Giorgetti. Nella finalissima per il titolo, opposti ai britannici Albert White, Horace Johnson, William Stewart e Cyril Alden (che in semifinale avevano avuto la meglio per sei secondi sul Belgio), successe di tutto.

Al quarto giro, White si staccò infilandosi nel quartetto azzurro per rompere i cambi. Gli azzurri furono costretti a dividersi, urlandogli di tutto, così come fece il pubblico. Il britannico abbandonò poi la corsa e nel parapiglia il francese Henri Habent gli rifilò un pugno in pieno petto, che gli comportò poi una squalifica di 15 giorni. Una gara che al termine si tinse ancor più di giallo, proprio nella terra di Georges Simenon. Il tempo finale del quartetto azzurro fu preso sul quarto pistard, contrariamente alla Gran Bretagna, il cui stop al cronometro avvenne sul terzo componente del terzetto giunto al traguardo.

I britannici, quindi, chiusero la gara con quattro decimi di vantaggio sugli azzurri, che ovviamente fecero ricorso. La giuria composta da un italiano, un britannico ed un francese, si espresse con il solo voto del giudice transalpino che squalificò la Gran Bretagna, premiando l’Italia. I Fantastici Quattro erano campioni olimpici, ma quanta fatica!

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