CONI: ADDIO GIORGIO, LO SPORT NON TI DIMENTICHERA'

tosatti_interna.jpgIl Presidente del CONI Giovanni Petrucci e il Segretario Generale Raffaele Pagnozzi ricordano così Giorgio Tosatti.

Giovanni Petrucci:“Ed ora vien da chiedersi come faremo senza di lui. Eravamo amici, ma anche di più. Quella di Giorgio Tosatti era - per me così come per tutti quelli prima di me che hanno avuto la responsabilità di guidare lo sport italiano – una presenza ed un punto di riferimento continuo. Con lui in certi momenti poteva capitare  anche di non andare d’accordo, almeno d’acchito, ma la sua capacità di mettere a fuoco le situazioni, di leggere i possibili sviluppi delle situazioni, di far leva sulla memoria di antiche esperienze ti lasciava sempre la possibilità di decidere al meglio. Con lui lo sport italiano ha perso un grande amico oltre che un impareggiabile cantore”.    

Raffaele Pagnozzi: “Per me era un fratello maggiore, sempre prodigo di consigli, ma anche incline ad aspri rimproveri tanto più coloriti quanto più dettati dall’affetto che mi portava e dalla profonda conoscenza che aveva non soltanto dello sport. Lo ricordo nel suo terrazzo, prima delle crisi cardiache, nelle tante partite a scopone di cui era un maestro per nulla clemente con gli errori del malcapitato compagno di turno. Tutto lo sport italiano deve qualcosa a Giorgio e sono certo che sapremo tributargli il giusto riconoscimento affinché il suo nome venga ricordato e come la sua famiglia, che ha tanto sofferto negli ultimi mesi, merita." I funerali di Giorgio Tosatti si terranno sabato mattina alle ore 11 nella basilica di Santa Maria degli Angeli a Roma. GIORGIO TOSATTI
“Tu chiamale, se vuoi, emozioni – Uomini e sfide in 40 anni di sport”. Ha fatto appena in tempo, un anno fa, Giorgio Tosatti – che se ne é andato stamattina a 69 anni di età, con il corpo stressato da lunghi mesi di battaglia e con la testa di un ventenne – a lasciarci l’antologia dei suoi ricordi professionali. Pezzi memorabili. Figure di campioni e momenti di gloria dello sport vissuti con la lucidità del cronista, filtrati da una competenza critica che non faceva sconti a nessuno. Orfano di un grande giornalista, Renato, vittima della tragedia di Superga, aveva iniziato giovanissimo la carriera giornalistica a Tuttosport. “Per portare a casa uno stipendio – ricordava – perchè a me sarebbe piaciuto studiare chimica, diventare biologo, occuparmi di archeologia”. E di chissà quante altre cose ancora, perché non c’era argomento – la finanza come la politica, la scienza come lo spettacolo – che non l’appassionasse e che non affrontasse con legittima presunzione di competenza. La sua é stata una carriera folgorante e di folgoranti successi. Caporedattore del Corriere dello Sport men che trentenne – e la cosa allora era assai rara – e poi direttore per più di dieci anni del quotidiano sportivo romano. Andava fiero di un record, di quelle 1.695.966 copie del giornale (EROICI, il titolone di prima pagina) vendute per la vittoria degli azzurri ai mondiali di Spagna. Poi la direzione del quotidiano cominciò a stargli stretta. Parlava di tecnologie, di multimedialità, di sfide da vincere su altri piani e a quei tempi non gli stettero dietro. Così decise invece di fare giornali di fare opinione. Lui sì che era un opinionista: non nel senso banale di dire la sua, ma di saper creare il sentire degli altri. Al Giornale prima, sui canali di Mediaset poi, quindi cavalcando la prestigiosissima abbinata Corriere della Sera e RAI. Parole e numeri, idee e fatti. Ha fatto scuola, ha avuto molti allievi ma nessuno ha mai pensato di poter superare il maestro. I più pensano che sapesse di calcio, invece sapeva di quasi tutto lo sport. Quarant’anni fa, nel 1967, ha vinto il premio USSI CONI. A febbraio dello scorso anno, a Torino, in occasione dei Giochi Olimpici Invernali, ha ritirato “La penna per lo sport” il massimo riconoscimento giornalistico dello sport italiano. “Avete avuto paura di non fare più in tempo? “: scherzò forse per esorcizzare le ansie che si portava dentro ma ben sapendo che quel premio era l’unico che gli mancava solo perché prima era sempre stato autorevolissimo membro della giuria.