Cerimonia allo stadio dell’Acqua Acetosa: nasce una nuova dimensione dello sport

60 anni fa i Giochi Paralimpici a Roma
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Roma brillava ancora di luce propria quando era passata una sola settimana dalla cerimonia di chiusura delle Olimpiadi che cambiarono il mondo. La Capitale era in continuo fermento e quell’atmosfera magica non sembrava intenzionata a lasciare una città ancora in festa, che piano piano cercava di ritornare alla normalità dopo due settimane di emozioni intense. Lo sport, però, decise che quell'idillio non doveva interrompersi, così, il 18 settembre del 1960, si svolse la cerimonia di apertura dei I Giochi Paralimpici.

Un altro evento di portata internazionale che dava lustro al nostro Paese e che fu fortissimamente voluto dal professor Antonio Maglio. Le Paralimpiadi italiane, però, in origine furono denominate IX Giochi Internazionali per Paraplegici, nati grazie al genio di Ludwig Guttmann, un medico tedesco di famiglia ebrea ortodossa, costretto ad emigrare in Gran Bretagna nel 1939 per fuggire alle persecuzioni del regime nazista. Nel 1944 il neurochirurgo aprì un padiglione per la cura delle lesioni della spina dorsale all’ospedale di Stoke Mandeville, nato quattro anni prima come Emergency Medical Services per i reduci dal fronte con danni alla colonna vertebrale. Un autentico rivoluzionario che riaccese la vita di molte di quelle persone, attraverso l’uso dello sport come strumento di riabilitazione fisica dei pazienti, ma soprattutto come terapia mentale.

Il 29 luglio del 1948, nello stesso giorno della cerimonia di apertura dei Giochi della XIV Olimpiade di Londra, Guttmann decise di organizzare un meeting sportivo tra reduci affetti da lesioni spinali. Nella piccola cittadina di quasi mille anime, a cinquanta miglia dalla capitale britannica, si disputò, quindi, la prima edizione degli Stoke Mandeville Games, con l’intento, già al tempo, da parte del suo ideatore, di fare dei Giochi per i disabili un evento parallelo ai Giochi Olimpici: “Sogno il giorno in cui i Giochi di Stoke Mandeville diventeranno un evento internazionale e la fama mondiale delle donne e degli uomini con disabilità sarà pari a quella degli atleti olimpici”.

Nel 1956 diventò un evento internazionale che cominciò a godere di grande fama. Nello stesso anno, durante l’Olimpiade di Melbourne, il CIO assegnò la Coppa Fearnley - premio dedicato a chi distingueva per meriti eccezionali in nome dell’olimpismo - proprio all’organizzazione di quei Giochi. Nel 1958 Guttmann conobbe ad un congresso di neurochirurghi il professor Antonio Maglio, primario del Centro Paraplegici di Ostia “Villa Marina”, sovvenzionato dall’Istituto Nazionale Assistenza Invalidi sul Lavoro (INAIL), che in Italia era un punto di riferimento analogo a quello britannico.

Maglio non solo aveva letto gli scritti di Guttmann, ma ne condivideva le metodologie e così gli propose di ospitare a Roma gli International Stoke Mandeville Games in abbinata con i Giochi della XVII Olimpiade. L’idea era quella di utilizzare alcuni degli stessi impianti olimpici. Guttmann nel 1959 invitò Maglio in Gran Bretagna, così una rappresentativa azzurra si recò nella contea di Buckinghamshire, dove Franco Rossi vinse l’oro nel pentathlon. Una volta avuto il benestare del presidente del CIO, Avery Brundage, la nona edizione degli ISMG poté così svolgersi a Roma. Il legame con i Giochi ebbe allora un valore ufficioso, non ufficiale, in quanto nei rapporti tra CONI e CIO non si accennò alla manifestazione.

La figura di Antonio Maglio non fu solo decisiva per l’organizzazione dell’evento, ma la sua opera di medico resterà per sempre negli annali della storia medica e sportiva italiana. Aveva speso parte della sua vita a riportare i paraplegici ad una vita normale e a supportarlo in quello sforzo era stato l’INAIL, istituto per cui lavorava e dove i suoi progetti avevano trovato nei vertici dell’ente una fondamentale sensibilità ricettiva. E così, esattamente, sessant’anni fa, il Ministro della Sanità, Camillo Giardina, aprì ufficialmente i Giochi Paralimpici di Roma 1960 allo Stadio dell’Acqua Acetosa, che si disputarono grazie al fondamentale contributo economico dell’INAIL, di concerto con il CONI. Guttmann riassunse con poche, ma significative parole, quell’indimenticabile prima volta: “La stragrande maggioranza dei concorrenti ed accompagnatori ha pienamente compreso il significato dei Giochi di Roma come nuovo modello di reinserimento dei paralizzati nella società, così come nel mondo dello sport”.

Davanti a 5000 spettatori incuriositi sfilarono circa 400 atleti in carrozzina e 250 accompagnatori, in rappresentanza di 23 paesi. La delegazione più numerosa fu quella italiana, composta interamente da atleti del Centro INAIL di Ostia: ex operai, pastori, agricoltori, ancora giovani, resi disabili per gravi infortuni sul lavoro e provenienti da ogni parte d’Italia. Il presidente dell’INAIL, Renato Morelli, nel suo saluto nel corso della cerimonia, ebbe a dire: “Questa è la prima volta che i Giochi si svolgono fuori dalla Gran Bretagna. E il fatto che sia stata scelta Roma, rappresenta il riconoscimento e uno stimolo per l’Italia, che con il suo Centro di Ostia, è all'avanguardia in questo settore della medicina”.

Parteciparono solo atleti con lesioni spinali, mentre l’ingresso di quelli con disabilità visiva avvenne ai Giochi di Heidelberg del 1972; poi a Toronto nel 1976 fecero il loro debutto gli amputati ed infine, ad Atlanta 1996, ci fu la prima apparizione di quelli con disabilità intellettivo-relazionale. Tutti gli atleti furono alloggiati nel Villaggio Olimpico, costruito senza tener conto delle necessità e delle esigenze delle persone disabili, ma grazie all’intervento dei soldati dell’Esercito, che erano impegnati nel trasporto degli atleti in carrozzina, su e giù per le scale, il problema fu risolto.

Otto le discipline in programma, suddivise in 57 gare, disputate in sei giorni: biliardo, scherma, basket, nuoto, atletica leggera, tennis tavolo, tiro con l’arco e freccette. L’Italia dominò le prove di scherma in carrozzina grazie a Franco Rossi, Aurelio Fedone e Giovanni Ferraris che conquistarono ben nove medaglie nella sciabola individuale e a squadre. La squadra azzurra, inoltre, monopolizzò il podio del fioretto femminile con Anna Toso, Anna Maria Galimberti e Maria Scutti.

1960 Rome INAIL 3bisEnzo Santini stabilì il record paralampico nel nuoto vincendo l’oro nei 50 metri stile libero. Maria Scutti fu una delle grandi protagoniste: gareggiò in ben quattro discipline - atletica leggera, nuoto, tennis tavolo e scherma - aggiudicandosi 15 medaglie. L’Italia si classificò al primo posto nel medagliere con 80 medaglie complessive (29 ori, 28 argenti, 23 bronzi), davanti alla Gran Bretagna con 55 (20, 15, 20) e alla Germania Ovest con 30 (15, 6, 9). Un record tuttora rimasto ineguagliato.

Un momento di grande emozione fu senza dubbio l’udienza con Papa Giovanni XXIII, che spese parole toccanti: “Voi avete dato un grande esempio. Avete mostrato quello che può realizzare un’anima energica, malgrado gli ostacoli in apparenza insormontabili che il corpo vi oppone, lungi da farvi abbattere dalla prova, la dominate e con sommo ottimismo affrontate cimenti apparenti riservati ai soli uomini validi”. Il 25 settembre ebbe luogo la cerimonia di chiusura all’interno del Palazzetto dello Sport, nei pressi del Villaggio Olimpico, alla presenza di Sir Ludwig Guttmann e della moglie del Presidente della Repubblica, Carla Gronchi.

Il 1984, invece, fu l’anno decisivo per il movimento paralimpico. La IAAF fece aperture importanti e, nel corso dei Giochi Olimpici di Los Angeles, nella cornice del Coliseum Stadium, si svolsero gare dimostrative in carrozzina. Il CIO approvò la nuova denominazione “Paralympic Games”, donando ai IX ISMG di Roma 1960 la qualifica di “first edition” certificando che furono le Paralimpiadi che cambiarono il mondo!

Foto: INAIL