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IL DECALOGO DELL’ACCOMPAGNATORE IN MONTAGNA (Corte d’Appello di Torino, sezione terza penale, 14.02.2023 (dep. 20.07.2023), n. 1066), di Riccardo Crucioli

Titolo

Il decalogo dell’accompagnatore in montagna

 

Corte d’Appello di Torino, sezione terza penale, 14.02.2023 (dep. 20.07.2023), n. 1066.

Massima

L’accompagnatore in montagna riveste una posizione di garanzia ed ha il compito di verificare quali sono le condizioni dei luoghi, se essi si prestano allo svolgimento della gita nei termini inizialmente progettati, avendo avuto riguardo alle condizioni climatiche ed al numero dei partecipanti.

 

Nell’ambito della disciplina scialpinistica non esistono precetti procedurali condivisi e definiti tali da elevarsi a norme cautelari suscettibili, laddove violate, di fondare una responsabilità a titolo di colpa specifica.

 

Sussiste cooperazione colposa allorquando tutte le decisioni sono prese di comune accordo dagli istruttori.

Keywords

Montagna, valanga, colpa, guida, accompagnamento, neve, scialpinismo, obbligo protezione, fonte obbligo garanzia.

Commento

Con la sentenza in commento, la Corte di Appello di Torino esamina il tragico caso di incidente in montagna, verificatosi durante l’escursione sul Colle Chamolè, in cui una valanga coinvolse un gruppo di scialpinisti, soci CAI, uccidendone due, provocando lesioni ad un altro e travolgendone cinque ancora impegnati nella risalita.

 

Per i contenuti della pronuncia di primo grado (Tribunale di Aosta, 24.02.2021 (dep. 22.04.2021, n. 65), espressione di condivisibili principi di diritto, ma oggetto di rilievi critici da parte degli esperti del settore, si rinvia al commento già pubblicato dallo scrivente in questa Rivista  articolo_neve_e_montagna_1.pdf (coni.it)

 

La sentenza di secondo grado ha confermato in pieno tutte le argomentazioni fattuali e giuridiche affrontate dal tribunale aostano, eccettuata la concessione delle attenuanti generiche e dei doppi benefici negate dal primo giudice.

 

La decisione, strutturata in modo pregevole, ripercorre i punti salienti della sentenza di condanna di primo grado in questi termini:

-         ricostruisce il fatto, ovvero che il 7 aprile 2018 un gruppo composto da ben ventuno persone (sette istruttori del CAI, dodici allievi e due aggregati) salgono, in direzione del rifugio Arbolle, fino alla cima dello Chamolè; l’orario è tardo, il calore scalda il pendio innevato, i primi membri del gruppo giungono al Colle ed una massa nevosa travolge gli altri che erano ancora impegnati nella risalita;

-         individua la causa del disastro (inteso in sento giuridico), così come accertata dal perito e dal Giudice di primo grado, nel sovraccarico impresso dal transito degli scialpinisti sul manto nevoso sito sul crinale, composto da una placca a vento che ha innescato la valanga;

-         dichiara applicabili le regole della colpa generica, tenuto conto dell’assenza di regole cautelari specifiche o di linee guida comportamentali;

-         accerta la colpa degli imputati (sei istruttori, dato che uno è deceduto), essendo prevedibile l’evento ed evitabile la stessa salita al rifugio (sia in generale, sia mediante la percorrenza di altra via o con altre modalità), avendo essi scelto negligentemente il percorso; avendo portato un numero troppo elevato di partecipanti, avendo deciso un orario di partenza inadeguato e non avendo assunto informazioni da professionisti esperti del luogo;

-         accerta come, nonostante l’organizzazione gerarchica del CAI, le scelte siano state condivise da tutti gli istruttori, che avevano cooperato nei processi decisionali della spedizione.

Per lunghe pagine, la Corte dettaglia anche le ragioni di doglianza degli appellanti, incentratesi sulla ricostruzione del fatto, sulle cause di innesco della valanga e, soprattutto, sui profili di colpa esistenti in capo ai condannati in primo grado (da pagina 9 a pagina 21 della sentenza).

 

Infine, la Corte conferma tutto l’impianto motivazionale del primo grado.

 

Con l’ausilio anche di immagini fotografiche, inserite nel testo della motivazione, la sentenza conferma prima di tutto l’individuazione della causa della valanga: il distacco è avvenuto, senza dubbio alcuno, per il sovraccarico impresso dal transito degli scialpinisti lungo il pendio; peso che ha sollecitato gli strati deboli profondi, determinandone il collasso. Si apprezza, al riguardo, il rigore con il quale sono state esaminate le consulenze delle difese, per escluderne il rilievo nel caso in esame.

 

La Corte esamina, poi, dettagliatamente il profilo soggettivo degli imputati, dando per assodato che gli stessi si trovassero in una posizione di garanzia, essendo “destinatari di obblighi di protezione e di controllo dei pericoli che possono incombere sui differenti beni tutelati dall’ordinamento giuridico, doveri che vengono richiamati dall’art. 40 cpv c.p.”. Trattasi di colpa omissiva impropria, dunque, come inquadramento dogmatico non revocabile in dubbio. Infatti, “in veste di organizzatori della gita, istruttori e guide dell’escursione essi apparivano tutti indistintamente investiti del compito di verificare quali fossero le condizioni dei luoghi, se questi si prestassero allo svolgimento della gita nei termini inizialmente progettati, avuto riguardo alle condizioni climatiche ed al numero dei partecipanti”.

 

Questa la ratio della decisione in tre righe di motivazione.

 

Non che il concetto sia così semplicisticamente affrontato, anzi: nelle pagine successive la Corte spiega, nel dettaglio, ogni singolo aspetto della colpa, schematizzando l’essenza del rimprovero mosso agli imputati. Non, infatti, un “atteggiamento antidoveroso della volontà”, tralaticiamente inteso, ma una condotta materiale connotata da gravi negligenze, imprudenze ed imperizie analiticamente descritte dalla Corte.

 

La Corte, inoltre, individua la fonte dell’obbligo di protezione nel rapporto “allievo-maestro”, che trova fondamento nel contratto, anche verbale, di insegnamento ed affidamento. Precisa, altresì, che la colpa, in generale, può consistere nell’inottemperanza al dovere di attivarsi per individuare la presenza dei pericoli che debbono essere prevenuti dai garanti, oppure nella mancata esecuzione delle condotte necessarie a prevenire, neutralizzare ovvero ridurre quei pericoli.

 

Infine, dopo aver descritto le regole di diritto proprie della colpa ex art. 43 c.p. e del giudizio controfattuale ed aver delineato, ancora una volta, la cooperazione colposa tra gli imputati, la Corte elenca una sorta di decalogo della “colpa in montagna”; decalogo molto concreto che dovrebbe essere tenuto presente da chiunque organizzi una escursione di scialpinismo.

 

Negligenza, imprudenza ed imperizia hanno connotato la condotta degli imputati che “avrebbero dovuto valutare diversamente gli elementi a loro disposizione e i numerosi campanelli di allarme che, con palese evidenza, sono emersi dagli atti processuali”. In estrema sintesi, tali omissioni o azioni hanno riguardato:

 

-         la selezione del percorso;

-         la valutazione delle condizioni del manto nevoso sul Colle;

-         la mancata assunzione di informazioni da persone e/o professionisti del luogo;

-         l'assenza di conoscenza specifica del percorso prescelto e la valutazione operata unicamente mediante lettura di siti specializzati contenenti descrizioni risalenti nel tempo (oltretutto, con espressa indicazione di “pericolo valanghe”);

-         la sottovalutazione delle indicazioni del bollettino nivometeorologico, oltre tutto generico e non integrato con informazioni dettagliate assunte in loco;

-         la scelta di orario di partenza inadeguato e l’imperizia nella valutazione del tempo di ascesa;

-         l'esorbitante numero di partecipanti.

 

Oltre a tale elencazione di condotte, la sentenza si segnala anche per il richiamo reiterato al principio di precauzione, centrale nell’ambito dell’attività pericolosa “la cui preparazione ed il cui svolgimento devono essere connotati e preceduti dalla più ampia esplorazione informativa al fine di escludere, con il massimo grado di certezza possibile, la sussistenza di fonti di rischio impreviste, ulteriori rispetto a quelle, minime, connaturate alla pratica scialpinistica”.

 

Una conferma attesa, dunque, di come la colpa in montagna debba essere valutata con rigore, proprio in relazione alle attività di insegnamento.

 

Dott. Riccardo Crucioli (Giudice penale del Tribunale di Genova)

 

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