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CARLI Arnaldo

Milano 30.07.1901 / Corsico (MI) 14.09.1972

1920. Ciclismo. MEDAGLIA D’ORO Inseguimento a Squadre (c. Ferrario-Giorgetti-Magnani)

Scampa alla Prima Guerra Mondiale per la giovane età e sin da adolescente inforca la bicicletta: il suo primo risultato significativo è il 4° posto nella Milano-Cappelletta, “classica” dell’epoca per i giovani, disputata il 13 aprile 1919 e vinta da Riboldi. Tesserato per l’US Milanese, si distingue anche al Velodromo Sempione come uno tra i giovani più interessanti del lotto meneghino. Nel 1920 insiste, specializzandosi nella pista: il 10 giugno, al “Sempione”, è battuto dal solo tricolore Rizzetto in un handicap. Carli mostra buone doti di velocità e resistenza: il 20 giugno vince sulla stessa pista la corsa a punti (chiamata allora “individuale”) davanti proprio a Rizzetto, ripetendosi cinque giorni dopo. Il 4 luglio è secondo, dietro il formidabile Giorgetti, nella corsa a punti: Carli ha qualità, ma forse è ancora troppo acerbo. Invece, a sorpresa, il suo nome compare nella lista per gli azzurri di Anversa. Ha vinto, in sostanza, la geopolitica. Carli è milanese e la decisione della Commissione Tecnica, guidata dal Presidente dell’UVI Davidson, è andata sul sicuro, scegliendo “i figli del Sempione” ovvero quei giovani corridori che da tempo girano sulla pista meneghina, con più o meno successo, e tra i quali, soprattutto, c’è conoscenza e talora amicizia più che rivalità, coesione e spirito di squadra. Non è ancora chiaro il ruolo di Carli, candidato ad essere “riserva viaggiante”, ma intanto parte per Anversa. Prima tappa Torino dove si svolge un collegiale di pochi giorni, giusto per affinare alcuni dettagli, agli ordini del CT Pavesi e sotto l’occhio attento del masseur De Maestri. E’ lì, nel capoluogo sabaudo, che Pavesi comincia a valutare come muovere le sue pedine in Belgio. Carli è un buon pistard, ha velocità e resistenza: alla fine guadagna un posto nel quartetto dell’inseguimento dove gli altri tre (Giorgetti, Ferrario, Magnani) hanno passato, come lui, gli ultimi due anni a girare e rigirare l’anello del “Sempione”. Tra loro c’è massima stima e coesione, se non amicizia: l’amalgama della compagine appare fondamentale agli occhi dei tecnici e la scelta si spiega in questo modo.

Si parte per Anversa in treno, via Modane e Parigi. Le prove ciclistiche olimpiche si svolgono al Garden City Velodroom di Wilrijk, sobborgo a sud di Anversa, su una pista in cemento di 400 m ed iniziano prima della cerimonia di apertura, prevista il 15 agosto. Difatti già il 9 agosto Carli è schierato nel quartetto che disputa l’inseguimento a squadre, sui 4 km: con lui dovrebbero correre Ferrario, Giorgetti e Magnani. Otto le nazioni al via. Ma Magnani si sente male, ha un’indisposizione nella notte di vigilia: a norma di regolamento, non può essere sostituito perché manca il dovuto preavviso. Così gli azzurri sono costretti a scendere in pista in tre contro quattro[1]. Chiunque si sarebbe arreso, i nostri non ci pensano minimamente. Nel quarto di finale l’avversaria è la Francia, rappresentante certo non di un movimento ciclistico secondario. Eppure, nonostante l’inferiorità numerica, i nostri vincono agevolmente la prova, quasi raggiungendo gli avversari. Un trionfo che fa ben sperare. Il giorno seguente affrontano la semifinale col Sud Africa: sono in netto vantaggio quando un giudice si sbaglia e dà il colpo di pistola che segnala la fine della gara con un giro d’anticipo. Poco male: l’Italia è comunque dichiarata vincitrice, dato il margine accumulato. In finale gli azzurri trovano la Gran Bretagna ed è il caos. Dopo circa 1500m, con la situazione ancora incerta, il britannico White perde contatto dai suoi e rallenta vistosamente: il quartetto italiano gli arriva in scia ma, forse per un’incomprensione o forse volutamente, il britannico non si sposta ed in pratica ostruisce l’avanzata dei nostri che cercano di rimediare, prima urlando, poi alzando le braccia. Alla fine il britannico si sposta, ma gli italiani ovviamente hanno perso il ritmo, disunendosi. Mentre il francese Habent inforca la sua bici e si dirige rapidamente verso White, colpendolo con un pugno per il suo comportamento scorretto ed antisportivo, i tre britannici superstiti, favoriti dal forzato rallentamento degli avversari, filano via e tagliano per primi il traguardo, in 5’13”8 mentre i nostri, con un grande recupero che denota la loro superiorità, chiudono comunque vicini, in 5’14”2. Inevitabile la protesta ed il reclamo ufficiale. Tre sono i giudici: un britannico, un italiano ed un francese. Mentre i connazionali si schierano, ovviamente, a favore dei rispettivi quartetti, alla fine decide il francese il quale, giustamente, assegna l’oro all’Italia che inizia qui una grande tradizione in questa difficile e complessa specialità. Il bronzo va al sorprendente Sud Africa.

Dopo i Giochi, Carli continua l’attività da dilettante, dedicandosi soprattutto alla pista, anche con un certo successo: il 29 agosto, nel neonato Velodromo di Bologna, vince il prestigioso “GP UVI” di velocità, superando nella finale il tricolore Rizzetto. Tipico specialista della pista e dotato di un buono sprint, Carli è tra gli azzurri che nel 1921 disputano il Mondiale di Velocità, ma viene subito eliminato. Passato professionista nel 1922, galleggia tra pochi alti e molti bassi per qualche stagione, distinguendosi anche all’estero come seigiornista, ma ottenendo scarsi successi. Nel 1926 si ritira al Giro d’Italia, evidentemente fatica troppo improba per un pistard come lui, e nel lustro seguente partecipa a numerose riunioni su pista dove però rimane sempre un comprimario. Lascia l’attività al termine del 1931 dopo un altro ritiro al “Giro”, chiudendo una carriera in cui il lampo olimpico è rimasto fin troppo isolato.


[1] Il tempo di gara, per regolamento, viene comunque preso sul terzo classificato


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