Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), 17 febbraio 2025, n. 3409
Estremi provvedimento |
Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), 17 febbraio 2025, n. 3409, Pres. Petrucciani, Est. Fanizza - F.I.G.C. c. Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato |
Massima |
I compiti e le prerogative delle Federazioni sportive vanno inquadrate in un contesto che, da un lato, deve evitare forme di incertezza regolatoria sui limiti dell’attività dilettantistica (non agonistica) e, soprattutto, sulla tutela dei giovani atleti; dall’altro, però, non può configurare l’esercizio di un controllo preventivo sull’attività che impedisca – a soggetti qualificati dall’ordinamento sportivo, come gli Enti di Promozione Sportiva – di organizzare liberamente le rispettive competizioni. La definizione di attività agonistica, che le Federazioni individuano autonomamente, sovente facendo riferimento all’età minima a partire dalla quale essa può svolgersi l’attività, richiede un quadro di regole sostanziali e procedurali che deve necessariamente informare ogni sistema regolatorio e autorizzativo. La verifica del test di “proporzionalità della restrizione alla concorrenza” ricade sull’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e deve essere fondata non su episodi materiali di dubbia verificabilità, ma su fermi presupposti di tenore ordinamentale che, nella fattispecie, sono smentiti dai riscontri econometrici che depongono in senso diametralmente opposto alla contestazione di abuso di posizione dominante. |
Keywords |
Federazioni sportive – Enti di Promozione Sportiva – Concorrenza – Abuso posizione dominante – Attività agonistica – Attività dilettantistica. |
La Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC) ha impugnato e chiesto l’annullamento della delibera, prot. 0065275 del 18.6.2024 dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, e ciò nell’ambito del procedimento n. A562- FIGC, con cui è stata irrogata alla ricorrente, per violazione dell’art. 102 TFUE, la sanzione amministrativa pecuniaria di euro 4.203.447,54. (Omissis) nelle proprie conclusioni l’Autorità ha specificato che la strategia della FIGC che si sarebbe tradotta nel contestato abuso avrebbe avuto origine “quantomeno a partire dalla stagione sportiva 2015/16, cioè la prima stagione successiva al Regolamento EPS del 2014, ed è tuttora in corso almeno con riferimento ai comportamenti attinenti alla mancata stipula delle Convenzioni con gli EPS per l’attività agonistica, illegittimamente estesa dalla FIGC anche alle attività ludico-amatoriali svolte dagli EPS con i ragazzi di età compresa tra i 12 e i 17 anni”.
E, sempre nelle proprie conclusioni, ha ritenuto “utile evidenziare, al riguardo, che tutte le ASD hanno un chiaro interesse a mantenere l’affiliazione alla FIGC – oltre che ad un EPS – dal momento che la Federazione organizza i tornei agonistici e riconosce alle società presso le quali si sono formati i giovani talenti il premio di formazione allorquando questi intraprendano successivamente una carriera professionistica”. Ed ancora, nel preambolo dell’impugnata deliberazione si legge che “né, (…) quanto meno fino alla stagione sportiva 2021/2022, era prevista alcuna autorizzazione preventiva della Federazione per la partecipazione a tornei organizzati dagli EPS da parte di società affiliate alla FIGC.
L’unico requisito richiesto era che si trattasse di EPS riconosciuti dal CONI con i quali fosse stata “sottoscritta apposita convenzione con il Settore Giovanile e Scolastico”: ciò lasciando intendere che, nel lasso di tempo compreso tra il 2015 ed il 2022 – nonostante la mancata sottoscrizione della Convenzione prevista dall’art. 2 del Regolamento EPS – non fosse stata formalmente preclusa agli stessi EPS di organizzare competizioni di carattere ludico-sportivo.
Nondimeno, nella diacronìa degli eventi si è fatto cenno ad episodi intimidatori che avrebbero interessato alcuni EPS (nella specie, “ACSI ha riferito di due casi riguardanti tornei a rapido svolgimento, il primo dei quali si è svolto nel periodo natalizio nel 2018 in provincia di Cuneo, a seguito del quale diverse ASD e relativi dirigenti sono stati deferiti, multati e sospesi per 6 mesi per aver partecipato a tornei organizzati in ambito EPS in assenza dell’autorizzazione da parte della Federazione”).
Resta, però, il fatto che a fronte delle riferite intimidazioni nessuno dei succitati atti di regolazione è stato impugnato dalle associazioni sportive.
A ciò si deve aggiungere una disciplina ulteriormente modificata dopo il 2015.
Si fa riferimento, in particolare, alla determinazione trasfusa nel Comunicato ufficiale dell’1.7.2022, nella quale, oltre alla condizione della stipulazione di convenzioni con SGS, si è disposta l’ulteriore condizione che gli EPS dovessero essere anche “autorizzati dagli uffici FIGC competenti a livello nazionale, regionale o territoriale” (c.d. pre-autorizzazione). Anche tale disciplina avrebbe potuto rivestire carattere lesivo: e ciò tanto più in ragione che, nel preambolo dell’impugnato provvedimento, si è fatto cenno ad episodi di “dissuasione” cronologicamente allocati a partire dal 2023 (“ACSI ha riferito di un torneo, denominato REGINS, svoltosi nel periodo pasquale 2023 in Emilia Romagna e organizzato da una ASD sua affiliata, in quanto ACSI non poteva, non essendo mai riuscito a stipulare una Convenzione con la FIGC”; “lo stesso comportamento da parte di rappresentanti federali è stato confermato anche dal CSI, che ha riferito di diversi episodi di minacce nei confronti di società sportive, al fine di dissuaderle dal partecipare a eventi promossi dagli EPS.
Tali episodi sono stati confermati anche dal Centro Sportivo Educativo Nazionale (CSEN) in un documento inviato nel novembre 2023, in cui si afferma che in diversi casi “le minacce ed intimidazioni per sanzioni si sono concretizzate in messaggi verbali”, mentre in altri sono invece pervenute comunicazioni scritte da parte degli organi regionali della FIGC indirizzate alle ASD, le quali, tuttavia, per timore di ritorsioni nei loro confronti non hanno voluto trasmettere tale documentazione”).
Ma, come si è precedentemente evidenziato, nessuno di tali provvedimenti regolatori risulta essere stato impugnato da soggetti comunque titolari di una posizione qualificata e giuridicamente protetta, in tutto analoga a quella degli altri soggetti tesserati, espressamente contemplati dall’art. 86, comma 1 del Codice di Giustizia Sportiva; da associazioni sportive, cioè, concretamente operanti nel mondo delle attività non agonistiche, ossia ludico-amatoriali, cioè da quelle aggregazioni che avrebbero potuto subire condotte sostanzialmente inibitorie o, peggio, prevaricatrici da parte di “rappresentanti” della FIGC e tali da impedire ai propri atleti di esercitare la disciplina calcistica.
Tanto premesso, se dal fronte impugnatorio non si sono registrate iniziative, resta da analizzare l’andamento dei rapporti nel processo di elaborazione e mancata sottoscrizione della Convenzione, quest’ultima sempre imputata alla responsabilità della ricorrente.
Sul punto, si è fatto cenno, anzitutto, alla circostanza che in “una lettera del 14 ottobre 2015 inviata al Presidente del SGS, il Presidente del CSI sottolineava la necessità di trovare una soluzione che superasse la disposizione del C.U. n.1 del 2015, secondo la quale non era consentita alle ASD affiliate alla FIGC la partecipazione alle attività degli EPS stante l’assenza di un Protocollo di Intesa. Il CSI evidenziava, in particolare, come tale disposizione avesse creato “non pochi problemi” sul territorio, non sapendo le ASD come comportarsi”.
Tale iniziativa sarebbe stata corroborata da un “sollecito del mese di gennaio 2016”, sempre da parte del CSI (in cui si paventava che le ASD “rischiano di lasciare a casa alcuni ragazzi, terrorizzati dalla poca chiarezza di quello che possono o non possono fare”) e una email dell’8.4.2016, “inviata dal Presidente dell’ACSI alla segreteria del SGS”.
Sono, però, seguiti oltre sei anni di assenza comunicativa. Una ripresa delle interlocuzioni provata da “alcune documentate comunicazioni interne alla Federazione relative al contenuto della Convenzione da proporre”, alle quali, tuttavia, “non è stata data risposta. Successivamente, nel marzo 2023, è avvenuto un ulteriore scambio di email tra la Federazione e la CNS Libertas al fine di pervenire a una bozza condivisa che, tuttavia, non si è poi concluso con la stipula di alcuna Convenzione”.
Nella rappresentazione dei fatti l’Autorità ha evidenziato, altresì, che la giustificazione opposta alla mancata stipulazione sarebbe stata che “gli EPS sono fra loro molto diversificati e perseguono interessi non sempre coincidenti, ciò ha determinato l’impossibilità di arrivare ad un accordo”; e che, dunque, “solo a partire dalla fine del 2022 le trattative con i singoli EPS sono poi riprese, ma il CSI ha ritenuto che non ci fossero in ogni caso le condizioni per arrivare ad un accordo stante il contenuto della Convenzione imposto dalla Federazione”.
Un contenuto oggetto di diverse proposte di modifica del testo, di cui, però, nessuno dei controinteressati ha dato evidenza documentale.
Genericamente, gli EPS hanno eccepito di non avere “alcun interesse a non stipulare la convenzione con la FIGC, la stessa tuttavia dovrebbe essere conforme ai principi stabiliti in quella proposta dal C.O.N.I.. Il fatto che nessuna delle modifiche richieste dagli E.P.S.
Sia stata accolta e che ad oggi nessuna convenzione in un decennio sia stata firmata, evidenzia una mancanza di flessibilità e di volontà di compromesso da parte di FIGC, soprattutto considerando la sua posizione dominante nel mercato” (cfr. pag. 35 della memoria conclusiva).
La ricorrente ha, di contro, sostenuto (memoria procedimentale del 23.10.2023) di aver provveduto, in spirito di “leale collaborazione nei confronti dell’Autorità”, a modificare il contenuto del Comunicato ufficiale n. 1 dell’1.7.2023 SGS, con il quale si sarebbe eliminata “la parte in cui era prevista, per la partecipazione di società affiliate alla FIGC ad attività di torneo a rapido svolgimento organizzate dagli EPS, la sottoscrizione di una Convenzione tra l’EPS e la Federazione e la pre-autorizzazione del torneo stesso”.
L’Autorità ha sostenuto che “il modello proposto dalla FIGC, profondamente diverso da quello predisposto dal CONI, non risponderebbe all’esigenza di essere completato e adattato in relazione alle specificità della disciplina del calcio e/o alle dinamiche del settore, ma rifletterebbe piuttosto la volontà della Federazione di imporne unilateralmente i contenuti. In particolare, il modello proposto imponeva la necessità della richiesta di autorizzazione per qualsiasi manifestazione competitiva per tutti gli over 12 anni e, quanto meno fino alla stagione sportiva 2022/23, anche per quelli under 12 anni”.
Ma tale assunto è da ritenersi travisato, non corrispondendo affatto alla disciplina trasfusa nei Comunicati ufficiali sopra riportati, nei quali, al contrario, è assente qualsiasi prescrizione relativa alla c.d. pre-autorizzazione, per nessuna categoria ed età degli atleti (con isolata eccezione per la stagione sportiva 2022/2023); piuttosto, è vero che fino alla stagione sportiva 2022/2023 è stato richiesto un adempimento ben diverso, ossia la stipulazione di “apposita convenzione con il Settore Giovanile e Scolastico”; e neppure tale, sopravvenuta, prescrizione è stata, comunque, oggetto di impugnazione da parte degli EPS.
Per rinvigorire la sostanza della propria contestazione, l’Autorità ha quindi operato una valutazione comparativa tra il modello di Convenzione del CONI del 2019 ed il modello proposto dalla FIGC.
Nel dettaglio, ha osservato che “il modello di Convenzione del CONI del 2019 pone le parti su un piano paritario prevedendo in particolare: i) il reciproco impegno delle Parti a svolgere le iniziative necessarie per coordinare e disciplinare in modo armonico e razionale la pratica sportiva nelle diverse forme e definire congiuntamente i limiti di esercizio della pratica sportiva; ii) la costituzione di una Commissione paritetica – formata da una rappresentanza delle rispettive commissioni tecniche, incaricata di definire i programmi tecnici e i calendari dell’attività sportiva; iii) l’assenza di specifici riferimenti alla tipologia di attività che un EPS può organizzare, ossia se solo tornei a rapido svolgimento o anche con altre modalità e durata; iv) l’assenza di sanzioni disciplinari in caso di mancato rispetto delle previsioni della Convenzione”.
E che “per contro, anche con riferimento alle Attività di base, il modello proposto dalla FIGC: i) limita ai soli tornei giovanili a rapido svolgimento le manifestazioni che gli EPS possono organizzare e svolgere anche con società affiliate alla FIGC; ii) prevede che il SGS valuti in via preliminare la conformità di qualsiasi torneo organizzato dagli EPS ai Regolamenti federali al fine di autorizzare la partecipazione delle proprie società affiliate; iii) impone agli EPS il rispetto delle modalità tecniche, di gioco, classifica stabilite dalla FIGC; iv) non prevede alcuna Commissione paritetica”.
Ha, quindi, concluso che “tali clausole, se confrontate con le previsioni contenute nel modello del CONI del 2019, assumono un’indubbia valenza restrittiva e aiutano a comprendere la difficoltà per gli EPS di addivenire alla stipula delle Convenzioni. Sul punto, gli EPS sentiti in audizione hanno definito la bozza di Convenzione tramessa loro dalla FIGC più simile ad una “concessione” che ad una “convenzione”, in quanto contenente condizioni imposte e non concordate, ritenute inaccettabili e finanche “vessatorie””.
Ad avviso del Collegio, tuttavia, tale argomentazione, oltre a sindacare le valutazioni di merito tecnico di competenza federale, non tiene conto di una più radicata difficoltà regolatoria. Assai significativo è, infatti, che il Segretario del Settore Giovanile Scolastico (SGS), cioè dell’organo che “promuove, organizza, disciplina e sviluppa l’attività sportiva e formativa dei giovani atleti dai 5 anni fino agli under 17, su tutto il territorio nazionale, attraverso una struttura centrale e coordinamenti regionali a cui è demandato il compito di promuovere, organizzare e valorizzare le attività SGS nei rispettivi territori”, ha riscontrato una comunicazione del 5.4.2019 della Direzione generale della FIGC evidenziando, nella comunicazione dell’8.4.2019, che “la convenzione standard FSN EPS (…) rimane molto generica lasciando di fatto alle parti gli accordi tecnici ed operativi”: cioè l’ammissione che occorresse un’elaborazione articolata di contenuti, che il medesimo rappresentante SGS ha espressamente riferito a: “differenze nei regolamenti e nelle modalità tecniche di gioco; criticità nell’adeguamento delle norme di sicurezza degli atleti e delle infrastrutture; mancato accordo sul tesseramento degli atleti; eccessiva difformità delle coperture assicurative; garanzia del rispetto a livello territoriale degli impegni intrapresi a livello nazionale”.
Alla luce della singolare tempistica del contraddittorio tra le parti circa la sottoscrizione della Convenzione, contrappuntato da lunghi periodi di stasi reciproca, ed all’esistenza di complessi profili di regolazione di carattere sostanziale, e non solo procedurale, ad avviso del Collegio non è fondatamente contestabile l’intenzionalità dell’operato “ostruzionistico e/o dilatorio da parte della FIGC nella stipula delle Convenzioni, che ha determinato di fatto l’impossibilità per gli EPS di svolgere attività agonistica di prestazione a livello giovanile, precludendo del tutto a questi ultimi l’accesso a tale mercato”.
Ad avviso del Collegio, pertanto, è indimostrato l’assunto secondo cui “la strategia abusiva della FIGC si è realizzata, in primo luogo, nel mercato dell’organizzazione di manifestazioni giovanili a carattere agonistico, dove la Federazione, attraverso la mancata stipula delle Convenzioni, ha precluso agli EPS l’accesso a tale mercato, rendendo di fatto non contendibile la propria posizione dominante ivi detenuta”.
Né, tantomeno, gli episodi di condotta intimidatoria, indicati nel provvedimento, possono surrogare la precarietà probatoria dell’abuso di posizione dominante.
Si tratta di episodi isolati e privi di diretta riferibilità della condotta di (anonimi) rappresentanti della FIGC ad una “regia” della stessa FIGC.
Quasi lambisce, poi, il paradosso la prova costituita dal “carattere strumentale dei deferimenti”, compendiata da quanto esposto dagli EPS e, in particolare, da “quanto segnalato dalla CNS Libertas relativamente al procedimento disciplinare avviato dalla FIGC n. 15075/119pfi22-23/PM/fm del 3 marzo 2023”: con riferimento a tale procedimento si è rimarcato che “il Procuratore Generale interregionale FIGC ha deferito oltre 200 soggetti – ASD e dirigenti delle stesse – affiliate sia alla FIGC che a EPS attivi in Campania, per presunta violazione dell’art. 4 co. 1 del Codice di Giustizia Sportiva in relazione alla disposizione contenuta nella Sezione 9 (“Regolamentazione dei tornei organizzati dalle società”), all’art. 9.3, lett. a2) (“Tornei a carattere nazionale”), del Comunicato Ufficiale del Settore Giovanile e Scolastico n. 1, del 1° luglio 2021, riferito alla stagione sportiva 2021-2022. In particolare, i soggetti colpiti dall’atto di deferimento avrebbero partecipato a diversi tornei organizzati da EPS (tra i quali la stessa CNS Libertas) attivi nella regione Campania, senza verificare se fosse stata richiesta l’autorizzazione federale preventiva all’organizzazione e realizzazione di campionati/tornei organizzati da tali Enti”.
A tale riguardo, nella memoria conclusiva gli EPS controinteressati hanno lamentato che “i deferimenti sopra richiamati (e anche altri) che hanno portato all'irrogazione di sanzioni da parte degli Organi di Giustizia Sportiva della F.I.G.C., sono stati formalizzati in relazione alle predette norme, (come inequivocabilmente si evince da quanto sopra riportato) e la Giustizia sportiva le ha ritenute applicabili ai tornei degli E.P.S.” (cfr. pag. 9). In altri termini, vicende che afferiscono alla giustizia sportiva sostanzierebbero le doglianze poste a fondamento dell’abuso contestato alla FIGC intesa in senso istituzionale.
L’Autorità ha, nei fatti, dimostrato di condividere tale prospettazione, avendo rilevato che “diversamente da quanto vorrebbe sostenere la FIGC, la CNS Libertas ha ribadito che i deferimenti sono il portato dell’abuso di posizione dominante della FIGC che definisce I regolamenti su cui si basano. Anche ACSI ha sottolineato che ciò che viene contestato non è il procedimento della procura federale e le sanzioni inflitte dagli organi di giustizia, bensì i regolamenti sui quali si fondano detti procedimenti e sanzioni, volti a limitare illegittimamente l’attività degli EPS.
In questo contesto, l’attività degli EPS risulta sempre più penalizzata soprattutto in talune regioni, sia in termini di numero di eventi organizzati sia di affiliati e di tesserati, con conseguenze rilevanti anche sotto il profilo economico”. Ad aviso del Collegio, però costituisce null’altro che una macroscopica congettura la tesi che intenderebbe profilare una connivenza tra la Procura Federale Nazionale e la Corte Federale di Appello per il fatto che quest’ultima, con la decisione resa a sezioni unite n. 0008/CFA pubblicata il 13 luglio 2023, ha accolto il reclamo della predetta Procura e, in riforma della decisione impugnata (emessa dal Tribunale federale territoriale presso il Comitato Regionale Campania n. 44/TFT del 1° giugno 2023), ha dichiarato procedibile il deferimento della Procura Federale e, per l’effetto, ha irrogato le sanzioni ai soggetti incolpati. E tutto ciò per favorire il “disegno” della Federazione. Fin troppo evidente che la tesi degli EPS e, soprattutto, la condivisione sostanziale di AGCM di tale teorema non tengono conto che l’art. 45, comma 2 del Codice di Giustizia Sportiva prevede che “gli organi del sistema della giustizia sportiva agiscono nel rispetto dei principi di piena indipendenza, autonomia e terzietà”.
Eppure, nel corso del procedimento la ricorrente ha pertinentemente sottolineato che “la nomina dei Giudici del Tribunale Federale avviene da parte del Consiglio Federale, scegliendo tra coloro che hanno presentato domanda a seguito della pubblicazione di una richiesta di manifestazione di interesse alla quale possono rispondere soggetti che abbiano determinati requisiti, quali avvocati dello Stato, professori universitari di ruolo in materie giuridiche e magistrati”. Non certo per ultimo, va esaminata la motivazione a sostegno della rilevata violazione di abuso di posizione dominante.
In particolare, l’Autorità ha concluso che la “strategia escludente è stata estesa anche al mercato dell’organizzazione di manifestazioni giovanili a carattere ludico-amatoriale. In particolare, FIGC, attraverso un uso illegittimo del potere regolatorio conferitole dal CONI, da un lato, ha usato strumentalmente la definizione di agonismo riferita all’attività federale, applicandola anche all’attività organizzata dagli EPS con atleti di età compresa tra i 12 e i 17 anni seppur svolta a livello amatoriale; dall’altro, ha inserito nei propri Comunicati Ufficiali n. 1 l’obbligatorietà per gli EPS di stipulare Convezioni con la FIGC anche per l’Attività di base (attività svolta con atleti fino ai 12 anni e, per definizione, ludico- amatoriale) ai fini della partecipazione delle ASD associate alla Federazione a eventi giovanili a carattere ludico-amatoriale organizzati dagli stessi EPS (arrivando da ultimo a prevedere nella stagione 2022/23 addirittura una pre- autorizzazione federale di tali manifestazioni).
La mancata stipula delle Convenzioni, dovuta alle inaccettabili condizioni imposte dalla FIGC, è quindi risultata idonea a ostacolare, se non escludere, gli EPS anche dal mercato dell’organizzazione degli eventi a carattere ludico-amatoriale (per tutti gli atleti under 17), consentendo in tal modo alla Federazione di estendere e rafforzare la propria posizione anche in questo mercato. Tale condotta, unitamente all’introduzione della pre-autorizzazione nella stagione 2022/23, ha determinato una restrizione all’accesso degli EPS anche al mercato dell’organizzazione di eventi a carattere amatoriale, che secondo il Regolamento EPS del 2014 può essere svolta liberamente, senza che sia necessaria alcuna Convenzione”.
Nel corso del procedimento, “CNS Libertas, in particolare, ha sottolineato come “[…] la competizione organizzata solo al fine di far fare sport e finalizzata al diletto dei partecipanti, anche se competitiva, può essere una competizione non agonistica”. Ha inoltre sottolineato come le norme indicate dalla FIGC a supporto della definizione di agonismo riguardano la tutela sanitaria e la determinazione dell’età minima a partire dalla quale si può svolgere attività agonistica, precisando che “una cosa è la tutela sanitaria richiesta per svolgere attività per gli over 12 anni, […] un’altra cosa è l’attività effettivamente svolta che può essere sia amatoriale che agonistica”.
In più banali termini, la contestazione allude ad una dilatazione illegittima, da parte della FIGC, dell’ambito dell’attività agonistica, la cui regolazione anche in chiave limitativa è infatti ascritta ai poteri federali, e ciò mediante la previsione dell’età di 12 anni quale criterio informatore e definitorio.
Sul punto si rendono necessarie alcune considerazioni in chiave ricostruttiva.
In primo luogo, assume importanza il legame tra l’agonismo e l’obbligo di possedere apposite certificazioni sanitarie perché, diversamente, si potrebbe propugnare una visione dell’attività agonistica come esasperazione incontrollata dello sforzo fisico, quindi in aperto contrasto con la visione dello sport promossa in tempi recenti dalla Costituzione, la quale all’art. 33, comma 7 prevede che “la Repubblica riconosce il valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico dell’attività sportiva in tutte le sue forme”.
Lo sport è, quindi, concepito come elemento di promozione del benessere psico- fisico, in piena sintonìa con la tutela della salute, cioè di un diritto fondamentale dell’individuo.
Non si tratta, a ben vedere, di una teorizzazione inedita. Sul punto, già la legge 1055/1950 aveva previsto l’obbligo di certificazione sanitaria per alcune attività sportive e, in tale ambito, la legge istitutiva del S.S.N. n. 833/1978 aveva ritenuto la tutela sanitaria nell’attività sportiva uno degli obiettivi del servizio sanitario nazionale, includendola tra i compiti delle USL e prevedendo l’obbligo di certificazione per chiunque intendesse svolgere attività agonistica.
L’obbligo di certificazione è stato previsto dall’art. 7 della legge 91/1981, in cui si prevedeva che “l’attività sportiva professionistica è svolta sotto controlli medici, secondo norme stabilite dalle Federazioni sportive nazionali ed approvate, con decreto del Ministro della sanità, sentito il Consiglio sanitario nazionale, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge. Le norme di cui al precedente comma devono prevedere, tra l’altro, l’istituzione di una scheda sanitaria per ciascuno sportivo professionista, il cui aggiornamento deve avvenire con periodicità almeno semestrale”.
L’art. 5 del D.L. 663/1979 ha rimesso l’individuazione dei criteri generali sui controlli sanitari per le attività sportive ai medici della Federazioni medico sportive italiane (FMSI), d’intesa tra le Regioni e il CONI, da approvarsi con decreto ministeriale. Tale disciplina è stata tradotta in concreto con il DM del Ministero della Salute 18 febbraio 1982, la cui violazione è stata dedotta in giudizio dalla ricorrente: normativa integrata da due DM del 28 febbraio 1983 (per l’attività agonistica e per l’attività non agonistica).
Il DM 18 febbraio 1982, all’art. 1, ha previsto che “la qualificazione agonistica a chi svolge attività sportiva è demandata alle Federazioni sportive nazionali o agli enti sportivi riconosciuti”.
La circolare n. 7/1983 del Ministero della Salute ha compendiato sul piano argomentativo tale previsione, evidenziandosi che “si tratta di una forma di attività sportiva praticata sistematicamente e/o continuativamente e soprattutto in forme organizzate dalle Federazioni sportive nazionali, dagli Enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI e dal Ministero della Pubblica Istruzione per quanto riguarda i Giochi della Gioventù a livello nazionale per il conseguimento di prestazioni sportive di un certo livello. L’attività sportiva agonistica non è quindi sinonimo di competizione. L’aspetto competitivo, infatti, che può essere presente in tutte le attività sportive, da solo non è sufficiente a configurare nella forma agonistica un’attività sportiva”. Riferimenti normativi evidenziati dalla ricorrente in sede istruttoria.
Il Ministero della Salute ha, quindi, conseguenzialmente approvato le tabelle per l’età minima di accesso all’attività sportiva agonistica che il CONI ha predisposto sulla base delle determinazioni a livello federale, in accordo con la Federazione Medico Sportiva Italiana; nella specie, per il calcio è prevista l’età di 12 anni.
In considerazione della risalenza di tale dato, non è, quindi, fondatamente sostenibile che la ricorrente abbia intenzionalmente dilatato l’area anagrafica per comprimere le prerogative degli EPS.
E le tabelle, allegate in giudizio dalla ricorrente, comprovano una chiara base regolamentare, caratterizzata da un riferimento anagrafico (12° anno) che nettamente si oppone e si fa preferire – in assenza di alternative, sempre enucleabili in futuro, ma oggi profilabili in linea puramente teorica – a definizioni di matrice concettuale su cosa si debba intendere per attività agonistica.
Per l’attività ludica-motoria, invece, non è obbligatoria alcuna certificazione medica, prevedendosi all’art. 42 bis del DL 69/2013, convertito nella legge 98/2013, ben anteriore alle vicende che avrebbero dato la stura all’abuso della FIGC, che “al fine di salvaguardare la salute dei cittadini promuovendo la pratica sportiva, per non gravare cittadini e Servizio sanitario nazionale di ulteriori onerosi accertamenti e certificazioni, è soppresso l'obbligo di certificazione per l'attività ludico-motoria e amatoriale”.
Ancor più significativo è che il DM 24 aprile 2013, recante la “Disciplina della certificazione dell'attività sportiva non agonistica e amatoriale”, prevede all’art. 2 (rubricato “Definizione dell'attività amatoriale. Certificazione”) che “ai fini del presente decreto è definita amatoriale l'attività ludico-motoria, praticata da soggetti non tesserati alle Federazioni sportive nazionali, alle Discipline associate, agli Enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI, individuale o collettiva, non occasionale, finalizzata al raggiungimento e mantenimento del benessere psico-fisico della persona, non regolamentata da organismi sportivi, ivi compresa l'attività che il soggetto svolge in proprio al di fuori di rapporti con organizzazioni o soggetti terzi”.
Pertanto, il tesseramento con la Federazione (e, a fortiori, il doppio tesseramento, con la Federazione e con un ente di promozione sportiva; ma anche il singolo tesseramento con un EPS riconosciuto dal CONI) preclude la qualificazione della relativa attività come “amatoriale” e, dunque, non agonistica.
Tale disposizione smentisce l’assunto delle EPS controinteressate, secondo le quali “una competizione organizzata solo al fine di far fare sport e finalizzata al diletto dei partecipanti, anche se competitiva, anche se svolta da ultra dodicenni può essere una competizione non agonistica” (cfr. pag. 7 della memoria conclusiva), senza, però, considerare se quegli atleti fossero, o meno, dei tesserati federali e, addirittura, anche dei tesserati degli stessi EPS riconosciuti dal CONI. La confusione su tale aspetto è decisiva sul piano interpretativo; si tratta di un punto critico che l’Autorità avrebbe dovuto valutare, avendone ottenuto contezza sulla scorta di quanto rappresentato nel “recente documento del 20 aprile 2023, sempre di provenienza del CONI, reperito nel corso delle ispezioni e riguardante il “Tavolo di lavoro sui rapporti tra FSN/DSA ed EPS””.
L’Autorità ha dato atto che in tale documento si afferma che “nell’analisi della pratica sportiva, emerge che tutte le attività sportive, anche quelle prive di dimensione propriamente agonistica, possono essere connotate da competitività. La distinzione tra attività agonistica e non agonistica non è quindi esclusivamente ricercabile nella presenza dell’aspetto competitivo, ma anche nell’intensità che si riserva alla prestazione, espressa al massimo nella prima ipotesi e quasi trascurabile nella seconda. In alcune discipline sportive, che implicano un livello elevato della prestazione tecnica, è più facile ipotizzare la pressoché inesistenza di attività non agonistiche, ma nella maggior parte dei casi il confine è più labile perché risulta complessa la definizione univoca del concetto di prestazione”. Il CONI ha – si direbbe lapidariamente – evidenziato che “agonismo” non è sinonimo di “competitività” e che la definizione del concetto di agonismo varia a seconda della tipologia di disciplina sportiva, in quanto riguarda il grado più o meno elevato di prestazione tecnica che una specifica disciplina implica.
Nel calcio si è ritenuto a livello regolamentare che tale soglia sia individuabile nel 12° anno di età. Non esistono, perciò, criteri discretivi che possano prescindere da riferimenti al diritto positivo. Ciò è talmente vero che la Corte Costituzionale, nella sentenza 17 dicembre 1987, n. 517, nel delibare sulla legittimità di disposizioni legislative finalizzate ad introdurre misure urgenti per la costruzione o l'ammodernamento di impianti sportivi e per la realizzazione o completamento di strutture sportive di base, ha statuito che l’art. 56 del DPR 616/1977 (in tema di ripartizione delle competenze fra Stato e regioni) ha profilato un’interpretazione secondo cui “la vera e unica linea di divisione fra le predette competenze è quella fra l'organizzazione delle attività sportive agonistiche, che sono riservate al C.O.N.I., e quella delle attività sportive di base o non agonistiche, che invece spettano alle regioni”; e che “sotto il profilo organizzatorio, non può prescindere dal collegamento, tramite le Federazioni nazionali di settore, con l’ordinamento sportivo internazionale”.
Non sussistono, pertanto, validi argomenti per sostenere che la ricorrente, avendo riferito l’attività agonistica a quella svolta a partire dal 12° anno di età da atleti tesserati (singolarmente o doppiamente, poco rileva), abbia abusato di una posizione dominante; l’esercizio di tali prerogative altro non è che il riflesso di una legislazione posta nell’ordinamento di settore.
Immotivatamente, quindi, l’AGCM ha ritenuto che la definizione dell’attività agonistica, basata solo sull’età e non su criteri prestazionali oggettivi, sia stata strumentalmente finalizzata ad incidere sul mercato concorrenziale della libera organizzazione degli eventi sportivi, sostanzialmente imponendo una barriera in ingresso al mercato.
Nel corso del procedimento sono state evocate recenti decisioni della Corte di Giustizia dell’Unione europea (cfr. 21 dicembre 2023, C-124/21 P e 21 dicembre 2023, C-333/21: i noti arresti International Skating Union Company e Super League Company).
In tali decisioni è stata affermata l’incidenza dal punto di vista concorrenziale del potere autorizzatorio e conformativo delle Federazioni, che determinerebbe un abuso di posizione dominante derivante dall’approfittare di un vantaggio sui concorrenti in assenza di criteri sostanziali e processuali e senza che siano fissati limiti, obblighi processuali e sostanziali e controlli nell’esercizio di questo potere. Dunque, in linea di principio è condivisibile che la mancata, preventiva, adozione di un quadro di criteri sostanziali e di regole procedurali trasparenti, oggettive, non discriminatorie e proporzionate possa essere idonea ad integrare un abuso di posizione dominante.
Non è, infatti, seriamente dubitabile che, come ha osservato il giudice comunitario, “l’attribuzione di diritti esclusivi o speciali che conferiscono un siffatto potere all’impresa interessata, o l’esistenza di una situazione analoga sui mercati pertinenti, deve essere accompagnata da limiti, obblighi e controlli idonei a escludere il rischio di uno sfruttamento abusivo da parte dell’impresa della sua posizione dominante, affinché essa non violi l’articolo 102 TFUE, in combinato disposto con l’articolo 106 TFUE (v., in tal senso, sentenza del 1o luglio2008, MOTOE, C 49/07, EU:C:2008:376, punto 53)”. Tali statuizioni devono, però, essere contestualizzate per fondare una contestazione di tale gravità.
La sentenza Superlega, infatti, ha considerato legittima la possibilità di adottare, come fatto da UEFA e FIFA, norme sull’approvazione preventiva delle competizioni e Sulla partecipazione dei club e dei tesserati, ove volte a garantire il rispetto di regole comuni, non potendosi pertanto affermare che l’adozione di tali norme, la loro attuazione né tanto meno le sanzioni collegate, costituiscano in via di principio un abuso di posizione dominante ai sensi dell’articolo 102 TFUE. L’adozione o attuazione di tali norme e sanzioni, per essere legittima, richiede la preventiva adozione di un quadro di criteri sostanziali e regole procedurali che consentano di qualificare il sistema di preventiva autorizzazione come trasparente, oggettivo, non discriminatorio e proporzionato.
Ciò vuol dire che i compiti e le prerogative di FIGC, dunque, vanno inquadrate in un contesto che, da un lato, deve evitare forme di incertezza regolatoria sui limiti dell’attività dilettantistica (non agonistica) e, soprattutto, sulla tutela dei giovani atleti; dall’altro, però, non può trascorrere nell’esercizio di un controllo preventivo sull’attività che impedisca – a soggetti qualificati dall’ordinamento sportivo, come gli EPS – di organizzare liberamente le rispettive competizioni.
Sul piano giuridico, perciò, la questione è se esista – nell’ordinamento di settore – un criterio o, addirittura, un parametro per valutare l’esercizio del potere regolatorio di FIGC (cioè quello di organizzare lo svolgimento della competizione, che è stato assegnato alle Federazioni, enti non lucrativi, non solo per profitto, ma per garantire uniformità regolamentare e di tutele alla pratica sportiva) e, nella specie, se tale potere sia stato esercitato in modo proporzionato a queste finalità, come invece non sarebbe stato ravvisato da AGCM.
Nella specie, il reticolo normativo evidenzia ad avviso del Collegio una coerenza legata alla peculiare natura dell’attività agonistica, che implica l’accettazione del rischio da essa derivante da parte di coloro che vi partecipano, per cui i danni eventualmente sofferti, e rientranti nell’alea normale della prestazione, ricadono sugli stessi: la Federazione ha fissato la regola che a partire dal 12mo anno di età sia tecnicamente congrua l’accettazione del predetto rischio quale prodromo dell’attività agonistica.
Del resto, la stessa sentenza Superlega ha puntualmente affrontato, tra i vari aspetti e sempre con riferimento a tutte le disposizioni che tutelano la concorrenza interna (artt. artt. 56, 101 e 102 TFUE), l’incidenza di possibili cause di esenzione e giustificazione su un accertamento, per così dire, scriteriato di un abuso di posizione dominante.
In sostanza, tale pronuncia ha inteso ribadire come l’adozione di norme sull’approvazione preventiva delle competizioni calcistiche tra club e sulla partecipazione delle società di calcio professionistiche e dei giocatori a tali competizioni possono, in via di principio, essere giustificate dall’esigenza di garantire che tali competizioni siano organizzate nel rispetto dei principi, dei valori e delle regole su cui si fonda il calcio professionistico, e anche di assicurare che le medesime si integrino nel sistema organizzato di competizioni nazionali, europee e internazionali.
Si è osservato, insomma, che la definizione di attività agonistica, che le Federazioni individuano autonomamente, sovente facendo riferimento – come nel caso del calcio – all’età minima a partire dalla quale si può svolgere attività agonistica, richiede un quadro di regole sostanziali e procedurali che deve necessariamente informare ogni sistema regolatorio e autorizzativo, nei termini precisati dalla Corte di Giustizia nella sentenza “Superlega”.
Seppure tali regole perseguano un obiettivo legittimo afferente al potere istituzionale volto ad assicurare il corretto e ordinato svolgimento delle competizioni, tale obiettivo deve essere valutato in termini di proporzionalità della restrizione alla concorrenza.
Nella specie, la verifica riguardante il test di proporzionalità ricadeva sull’AGCM, la quale però ha censurato - contro l’evidenza normative – la condizione (anagrafica) per l’esercizio dell’agonismo, correlando a tale critica, ammissibile in sola chiave de iure condendo, un pesante addebito nei confronti dell’istituzione sportive federale, fondato su elementi di carattere suggestivo, collegati ad episodi materiali di dubbia verificabilità, e non, piuttosto, a fermi presupposti di tenore ordinamentale.
Il risultato di tale, insufficiente, prospettiva è, peraltro, contraddetto dai dati che afferiscono alla gestione dell’attività da parte degli EPS: quanto meno dai dati direttamente ricavabili dal provvedimento impugnato e dai dati che sono ricavabili dai documenti allegati in giudizio.
La finalità anticoncorrenziale assunta quale capisaldo delle contestazioni, ossia l’intento di FIGC di “ostacolare e finance escludere gli EPS dal mercato mercato dell’organizzazione di eventi a carattere ludico amatoriale, al fine di accrescere la propria posizione in tale mercato e aumentare il numero dei tesserati, a danno degli EPS, delle ASD e, in definitiva, degli atleti under 17”, non è stata supportata da alcun dato concreto.
La ricorrente ha opposto che, “dopo il periodo pandemico, l’attività degli EPS ha ripreso a crescere a pieno ritmo e, nel periodo 2021/2022 – 2022/2023, il numero totale di tesserati giovanili degli EPS (che per definizione sono tutti amatori) è cresciuto del 10% (da 346.000 a 380.000), mentre quello dei tesserati under 12 della FIGC (che sono, invece, gli unici amatori in ambito FIGC) solo del 9% (da 440.000 a 480.000). Tale dato è coerente con quello ricavabile dal Rapporto “i Numeri dello Sport 2021-2022” del CONI, che certifica come, tra il 2021 e il 2022, gli atleti tesserati per le FSN siano aumentati del 16,3%, mentre i praticanti degli EPS del 21,2%” (cfr. pag. 6 della memoria conclusiva FIGC).
Nel documento “Osservatorio permanente sullo sport di base”, redatto da alcune EPS ma allegato dalla ricorrente, è decisivo il dato riguardante il “numero di organizzazioni sportive affiliate ad una fsn/dsa, eps trend (2016-2022)”: un settennato di attività che, rapportato alle questioni controverse, fornisce un quadro oggettivo. Ebbene, tale numero era di 118.812 nel 2016; di 121.815 nel 2017; di 110.409 nel 2018; di 120.635 nel 2019; di 115.469 nel 2020; di 109.800 nel 2022: un numero, nel 2022, leggermente più contenuto, a dimostrazione di un calo che, ad avviso del Collegio, ha inciso nel dato che riguarda il confronto numerico tra amatori EPS e amatori FIGC, di cui vi è menzione nel provvedimento impugnato (cfr. tabella n. 1, pag. 46).
Sulla scorta delle rilevazioni dell’AGCM gli amatori degli EPS risultano essere circa 380.000 nella stagione 2022/2023 e gli amatori della FIGC (che, in quanto under 12, non possono svolgere attività agonistica poiché non potrebbero neppure ottenere la relativa certificazione) risultano essere circa 480.000: una differenza di 100.000 che, nella stagione 2022/2023 è razionalmente ascrivibile al calo di affiliazioni (di cui si è detto sopra) che inevitabilmente ha portato con sé un calo di atleti.
Non a caso nella stagione 2020/2021 la differenza è stata, invece, di appena 30.000 atleti amatori (300.000 FIGC vs 270.000 EPS).
Nel medesimo documento, inoltre, si è precisata “l’offerta di eventi sportivi ruota attorno alle gare” per il 2021 e, in particolare, si sono stimati in “oltre 180mila eventi sportivi organizzati dal Sistema EPS”, positivamente concludendosi che “si arresta la contrazione registrata negli anni precedenti”, dovuta al Covid. Sono facilmente leggibili picchi decisamente significativi negli anni prepandemici, ossia il 2017 (277.447), 2018 (299.243) e 2019 (196.931), cioè proprio in quegli anni nei quali – a seguire la prospettazione accusatoria dell’Autorità – si sarebbe consumato l’abuso di posizione dominante perpetrato dalla Federazione mediante una strategia che avrebbe generato le riferite restrizioni della concorrenza. Senza contare che il documento in questione evidenzia il “pareggio di bilancio nel 2021 e volumi in crescita”, cioè una media di “6,5 milioni di euro per Ente” e “58 mila euro per sede”.
I riscontri econometrici, pertanto, depongono in senso diametralmente opposto agli assunti sui quali è stata formulata la contestazione di abuso di posizione dominante. In conclusione, il ricorso va accolto e la sanzione impugnata va annullata. P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi espressi in motivazione. |