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Sinistro avvenuto su pista da sci: non si applica il codice della strada

Cassazione civile sez. III, 20/10/2016, n. 21254

Il presupposto dell'applicazione dell'art. 2054 c.c. e della correlata normativa attinente alla assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile da circolazione di veicoli è che il sinistro avvenga in un'area stradale o ad essa equiparata, onde in una pista innevata di sci, non essendo aperta per uso stradale bensì per l'esercizio di uno sport che non si avvale di un veicolo indicato dal Codice della Strada per la circolazione, non può verificarsi un sinistro alle cui conseguenze risarcitorie sia applicabile la normativa suddetta.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

  1. Con sentenza del 12 settembre 2005 il Tribunale di Pistoia, a seguito di domanda di R.A. di risarcimento dei danni a lui derivati dall'investimento il (OMISSIS), mentre sciava all'(OMISSIS), da un'auto condotta sulla pista sciistica dal proprietario D.F., attribuiva la responsabilità del sinistro per 80% a D.F. e per 20% all'attore, conseguentemente condannando gli eredi di D.F., cioè D.G. e C.G., a risarcire i danni biologico, morale e patrimoniale del Ristori nella misura di Euro 23.985,17 oltre accessori, rigettando invece ogni domanda proposta nei confronti di M.G. - ex proprietaria dell'auto - e di SAI Assicurazioni S.p.A. - per non essere la pista una strada pubblica ai sensi della L. n. 990 del 1969-.

Avendo D. e C. proposto appello contro tale sentenza e avendo R. proposto appello incidentale, costituitesi le altre parti resistendo, la Corte d'appello di Firenze, con sentenza del 30 maggio-12 ottobre 2012, in parziale accoglimento dell'appello incidentale, dichiarava la responsabilità esclusiva di D.F. per il sinistro, condannandone pertanto gli eredi a risarcire R. per Euro 29.981,47 oltre a accessori, rigettando ogni altro gravarne.

  1. Hanno presentato ricorso D. e C., sulla base di cinque motivi; si difende con controricorso R.; si difende altresì con controricorso M..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

  1. Il ricorso è infondato.

3.1.1 Il primo motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2054 c.c..

Avendo la corte territoriale affermato che il giudice di prime cure aveva errato nell'applicare l'art. 2054 c.c. in quanto norma concernente la circolazione del veicolo su strada pubblica, soggetta a uso pubblico o comunque adibita al traffico veicolare, mentre nel caso di specie si tratta di una pista da sci, sulla quale è vietato (L. n. 363 del 2003, art. 16) il transito di veicoli, e pertanto ritenendo applicabile solo l'art. 2043 c.c., i ricorrenti confutano questa posizione assunta dal giudice d'appello sostenendo che la pista di sci è comunque area pubblica, come avrebbe riconosciuto lo stesso giudice a pagina 10 della motivazione (si tratta del seguente passo: "il sinistro si è verificato in area pubblica ma interdetta alla circolazione dei veicoli"). Ad avviso dei ricorrenti, il divieto di transito dei veicoli non toglie la natura di area pubblica, per cui ai fini della responsabilità extracontrattuale deve comunque applicarsi l'art. 2054 c.c.; e anche qualora fosse stata area privata, era comunque ad uso pubblico, per cui sarebbero applicabili l'art. 2054 c.c. e ratione temporis la L. n. 990 del 1969, art. 1. E anche la posteriore L. n. 363 del 2003 all'art. 19 stabilisce che nel caso di scontro tra sciatori si presume fino a prova contraria che ognuno abbia concorso ugualmente a produrre il danno.

Occorre rimarcare che il terzo e il quarto motivo meritano di essere subito vagliati congiuntamente al primo, giacchè attengono alla stessa tematica: con il terzo motivo, infatti, viene denunciata violazione e/o falsa applicazione della L. n. 990 del 1969, art. 1, e con il quarto violazione e/o falsa applicazione della L. n. 363 del 2003, art. 16.

Il terzo motivo, allora, censura la sentenza impugnata per avere errato affermando che per applicare la L. n. 990 del 1969, art. 1 è necessario che il sinistro avvenga su area, pubblica o privata, aperta alla circolazione di un numero indeterminato di persone, intendendo per persone i veicoli: così non è, sostengono i ricorrenti, per cui la norma è applicabile semplicemente se il sinistro avviene su strada-area pubblica; per l'applicabilità in area privata, è necessaria che questa abbia le caratteristiche dell'area soggetta ad uso pubblico nel senso della sua apertura a un numero indeterminato di persone (non di veicoli).

Il quarto motivo, infine, denuncia violazione e/o falsa applicazione della L. n. 363 del 2003, art. 16 in quanto posteriore rispetto all'evento e dunque non applicabile ex art. 11 preleggi; ma anche qualora fosse applicabile, la corte lo avrebbe erroneamente interpretato.

3.1.2 Prendendo le mosse dall'evidente dato - emergente dalla complessiva motivazione della sentenza impugnata - che il riferimento alla L. 24 dicembre 2003, n. 363, effettivamente inapplicabile perchè posteriore all'incidente, sussiste nella sentenza impugnata (a pagina 6 della motivazione) non è l'unica ratio decidendi, onde il quarto motivo non vanta consistenza (cfr., p. es., Cass. sez. lav., 11 febbraio 2011 n. 3386Cass. sez. 3, 14 febbraio 2012 n. 2108; S.U. 29 marzo 2013 n. 7931), emerge che il nucleo della pronuncia sulla tematica in esame è in realtà quello trattato nel primo e nel terzo motivo.

La corte territoriale censura il primo giudice per avere ritenuto operante nella fattispecie l'art. 2054 c.c., in quanto "il presupposto di applicazione di tale norma e delle presunzioni da essa contemplate è che si versi in una ipotesi di circolazione del veicolo su strada pubblica, soggetta ad uso pubblico o comunque adibita al traffico veicolare", presupposto secondo la corte non integrato da una pista da sci (motivazione, pagina 6); e parimenti la corte ritiene (motivazione, pagina 10) inapplicabile la L. 24 dicembre 1969, n. 990, art. 1 perchè "la responsabilità dell'assicuratore ai sensi della legge sopra citata ricorre con riferimento ai sinistri cagionati da veicoli posti in circolazione su strade di uso pubblico o ad esse equiparate, intendendosi per queste ultime quelle aree, pubbliche o private, aperte alla circolazione di un numero indeterminato di persone", mentre nel caso in esame "il sinistro si è verificato in un'area (pista da sci) certamente non aperta alla circolazione di un numero indeterminato di persone" (anche qui, come a proposito dell'art. 2054 c.c., la corte aggiunge poi l'ulteriore ratio decidendi, errata, dell'applicazione della posteriore L. n. 363 del 2003).

Nel primo motivo, quindi, il ricorrente, dato atto che la corte territoriale ha identificato come presupposto per l'applicazione dell'art. 2054 c.c. la circolazione del veicolo su strada pubblica o comunque soggetta ad uso pubblico negando che tale sia una pista da sci, obietta che l'essere la pista di sci preclusa al transito dei mezzi meccanici, tranne quelli adibiti al servizio e alla manutenzione della pista e degli impianti, "non ne elimina il carattere di area pubblica", connettendosi con un arresto di questa Suprema Corte che a suo dire insegna che dei danni derivati dalla circolazione di un veicolo, per quanto vietata, rispondono comunque il conducente e il proprietario ex art. 2054 c.c. nonchè l'assicuratore se si tratta di veicolo a motore soggetto al regime dell'assicurazione obbligatoria ai sensi della L. 24 dicembre 1969, n. 990 (ricorso, pagina 10).

La pronuncia cui il ricorrente fa riferimento, cioè Cass. sez. 3, 29 ottobre 2001 n. 13393, esprime un principio di diritto massimato del quale il ricorrente ha estrapolato artificiosamente soltanto la parte finale, perchè in realtà è il seguente: "In caso di sinistro stradale avvenuto su via pubblica (nella specie, comunale), l'esistenza di un divieto di transito sulla stessa non ne elimina il carattere di strada pubblica, con la conseguenza che dei danni prodotti dalla circolazione di un veicolo, per quanto vietata, rispondono il conducente ed il proprietario ai sensi dell'art. 2054 c.c., comma 3, nonchè l'assicuratore, ove si tratti di un veicolo a motore soggetto al regime di assicurazione obbligatoria, giusta il disposto della L. 24 dicembre 1969, n. 990.". E' del tutto evidente, allora, che la parte della massima richiamata dal ricorrente ha come presupposto che i danni si siano verificati mediante la circolazione su una strada, anche nel caso in cui su detta strada vi fosse divieto di transito, poichè questo divieto non è ablativo della natura di strada.

3.1.3 A ben guardare, la questione dell'ambito di applicazione dell'art. 2054 c.c. deve essere affrontata attraverso il concetto di circolazione dei veicoli, come emerge già dalla sua rubrica: "Circolazione di veicoli", appunto. Il testo della norma non indica uno specifico significato giuridico del concetto di circolazione, che deve quindi attingersi dal sistema in cui la norma codicistica era venuta ad inserirsi. Non si può non ricordare, allora, che quando fu introdotta era in vigore il R.D. 8 dicembre 1933, n. 1740, Testo unico di norme per la tutela delle strade e per la circolazione, che all'art. 23 (Libertà di circolazione) nel comma 1 stabiliva: "La circolazione sulle strade di uso pubblico e sulle aree ad esse equiparate è libera, salva l'osservanza delle disposizioni contenute nel presente decreto e nei regolamenti che i Comuni sono autorizzati ad emanare". La natura, per così dire, prodromica del suddetto testo unico rispetto all'art. 2054 c.c. è manifestata anche dal suo art. 120 (Responsabilità del conducente e del proprietario dei veicoli) che al primo comma precede il dettato dell'art. 2054 c.c., comma 1, statuendo: "Il danno prodotto a persone o cose dalla circolazione di un veicolo si presume dovuto a colpa del conducente. La presunzione è esclusa solo quando questi provi che da parte sua si è avuta ogni cura, per evitare che il danno si verificasse"; e parimenti l'art. 120, comma 3 precede l'art. 2054 c.c., comma 3, statuendo: "Il proprietario del veicolo è obbligato solidalmente col conducente a meno che provi che la circolazione del veicolo sia avvenuta contro la sua volontà...". La linea inserita dal testo unico del 1933, oltre che dall'art. 2054 c.c., è poi ripresa dal D.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, Testo unico delle norme sulla circolazione stradale, che sostituisce il precedente e, tra l'altro, all'art. 2 (Definizione e classificazione delle strade) fornisce la definizione della "strada" come "area ad uso pubblico destinata alla circolazione dei pedoni, dei veicoli e degli animali". Prosegue coerentemente il D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285 - ovvero il Codice della strada in vigore quando accadde il sinistro di cui è causa -, che conferma all'art. 2, comma 1, - pur indicandola "ai fini dell'applicazione delle norme del presente codice": ma ne è più che ovvio il significato sistemico - la definizione di "strada" di cui alla precedente normativa ("si definisce "strada" l'area ad uso pubblico destinata alla circolazione dei pedoni, dei veicoli e degli animali") e aggiunge, pur sempre ai fini delle norme del Codice della strada, all'art. 3 (Definizioni stradali e di traffico) al comma 1, n. 9, la definizione della "circolazione", qualificata come "il movimento, la fermata e la sosta dei pedoni, dei veicoli e degli animali sulla strada".

E' dunque evidente che il concetto di strada e il concetto di circolazione sono intrinsecamente collegati e, per così dire, logicamente reciproci: nel quadro normativo vigente all'epoca del sinistro un'ulteriore conferma viene offerta dalla L. 24 dicembre 1969, n. 990, art. 1 (ora sostituita dal D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209), che delimita l'ambito di applicazione dell'assicurazione obbligatoria alla circolazione dei veicoli a motore senza rotaie su strada ad uso pubblico o aree ad essa equiparate, stabilendo al primo comma: "I veicoli a motore senza guida di rotaie...non possono essere posti in circolazione su strade di uso pubblico, o su aree a queste equiparate se non siano coperti, secondo le disposizioni della presente legge, dall'assicurazione per la responsabilità civile verso i terzi prevista dall'art. 2054 c.c.".

3.1.4 La circolazione presuppone quindi una strada o un'area - pubblica o destinata ad uso pubblico - ad essa equiparata; e ciò significa che, se un veicolo senza rotaie viene guidato in una zona priva di tale caratteristica, la circolazione in senso giuridico non sussiste, onde non sono applicabili - da quanto sopra esposto già ne è emersa la stretta correlazione - nè l'art. 2054 c.c. nè la normativa attinente all'assicurazione obbligatoria per la conseguente responsabilità.

Non sono pertanto sufficienti nè il movimento di un veicolo senza rotaie nè la sua presenza in un luogo anche pubblico o a uso pubblico per ricondurre l'eventuale incidente che ne possa derivare nella specifica fattispecie della circolazione stradale e della correlata assicurazione obbligatoria. Allo scopo occorre che il sinistro si sia realizzato sugli spazi addetti alla circolazione, nel senso che un numero indeterminato di persone possa accedervi, ma proprio per circolare (ex multis cfr. S.U. 29 aprile 2015 n. 8620 e la conforme Cass sez. 3, 19 febbraio 2016 n. 3257, che sottolineano come il concetto di circolazione stradale ex art. 2054 c.c. include anche la posizione di arresto del veicolo "sugli spazi addetti alla circolazione"; Cass. sez. 3, 24 marzo 2015 n. 5854, che indica come presupposto dell'applicabilità della disciplina sull'assicurazione obbligatoria della responsabilità civile per circolazione di veicoli che "il sinistro sia avvenuto in strade od aree ad uso pubblico, o a queste equiparate, che siano accessibili ad una molteplicità indifferenziata di persone" - escludendola pertanto nel caso in esame in cui l'incidente era avvenuto in una zona interna di un aeroporto -; Cass. sez. 3, 11 giugno 2012 n. 9441, che riconosce come area di circolazione anche quella - nel caso, un cantiere - in cui si ha accesso solo per fini specifici e in particolari condizioni - nel caso, i rapporti di lavoro o di commercio con l'impresa cui era riferibile il cantiere -; Cass. sez. 3, ord. 23 luglio 2009 n. 17279, che ribadisce come l'applicabilità dell'art. 2054 c.c. e delle correlate nome di assicurazione obbligatoria presuppone "l'apertura dell'area al traffico veicolare ad opera di un numero indeterminato di persone"; Cass. sez. 3, 26 luglio 1997 n. 7015, per cui per applicare l'art. 2054 c.c. "è necessario che ricorra il presupposto della circolazione del veicolo su strada pubblica o su strada privata soggetta ad uso pubblico o, comunque, adibita al traffico di pedoni o di veicoli"; Cass. sez. 3, 12 agosto 1995 n. 8846, per cui "ai fini dell'applicazione della normativa della assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, sono equiparate alle strade di uso pubblico tutte le aree di proprietà pubblica o privata aperte alla circolazione del pubblico, intendendosi per tali, quanto alle aree private, quelle in cui la circolazione è consentita ad una cerchia indeterminata di persone, diverse dai titolari dei diritti sulle aree medesime, sia pure sotto specifiche condizioni o per particolari finalità."). La circolazione, quindi, non può essere intesa, su un piano erroneamente soggettivo, come frutto dell'intenzione e della scelta del soggetto che guida il veicolo, bensì, oggettivamente, come uso attribuito ad un'area pubblica o ad un'area privata ma destinata appunto a tale uso pubblico.

Da quanto appena osservato, emerge chiaramente che l'introduzione di una autovettura in un'area destinata esclusivamente all'esercizio di uno sport come lo sci, che non si pratica mediante veicoli a motore o comunque mediante veicoli indicati dal Codice della strada come idonei a realizzare una circolazione nel senso appena esposto (come si constaterà subito), non conduce all'applicabilità dell'art. 2054 c.c. e della correlata assicurazione obbligatoria nell'ipotesi in cui il veicolo venga a contatto con uno sciatore. E anche qualora si voglia qualificare l'attrezzo di tale sport come un veicolo, questo non è certo rientrante tra i veicoli soggetti alla disciplina del Codice della strada (v. Cass. sez. 3, 30 luglio 1987 n. 6603 che lo riconosce infatti non annoverato tra i veicoli soggetti alla disciplina del Codice della strada dell'epoca (d.p.r. 15 giugno 1959 n. 393), deducendone che correlativamente non è neppure assoggettato alla "disciplina dell'art. 2054 c.c., riguardante la responsabilità civile per la circolazione dei veicoli - che ha diretta derivazione e specifico collegamento con quella del codice della strada -... con la conseguenza che la tutela delle persone danneggiate dalla circolazione di persone munite di tale particolare attrezzo è disciplinata dall'art. 2043 c.c."; ma anche nel Codice della strada vigente all'epoca del sinistro di cui è causa - v. in particolare D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, artt. 46 ss. - lo sci non figura tra i veicoli considerati, a differenza, tra l'altro, della slitta).

L'estraneità del sinistro in questione alla disciplina di cui all'art. 2054 c.c. e della correlata assicurazione obbligatoria viene poi nel caso di specie corroborata da una applicabile, vista la località in cui si è verificato l'incidente - specifica legge regionale della Regione Toscana, la L.R. 13 dicembre 1993, n. 93, che, all'art. 9, dopo avere nel comma 1 affermato che l'uso delle piste da sci è pubblico, nel comma 3 stabilisce: "Nel periodo di innevamento è vietato percorrere le piste a piedi e con mezzi diversi dagli sci, fatta eccezione per i mezzi meccanici addetti al servizio delle piste e degli impianti". E questa norma conferma come l'apertura al pubblico, ovvero ad un numero indeterminato di persone, non sia sufficiente a rendere l'area addetta alla circolazione, poichè l'apertura può essere finalizzata ad attività del tutto diverse, come, nel caso di specie, uno sport quale lo sci. Prive di consistenza sono pertanto le argomentazioni presenti nel ricorso che fanno perno, appunto, sulla apertura a persone il numero indeterminato, elemento questo che, pur essendo stato citato dalla giurisprudenza di legittimità di cui più sopra si sono richiamati alcuni arresti, non è comunque sufficiente a giustificare l'applicazione dell'art. 2054 c.c. e della normativa sull'assicurazione obbligatoria, poichè l'accesso ad una pluralità di persone ad un'area - vale a dire, il fatto che l'area sia pubblica o ad uso pubblico - di per sè solo non significa che l'area sia destinata alla circolazione, ovvero che sia una strada o un'area equiparata ad una strada. Invero, una cosa è l'accesso e un'altra la circolazione; l'accesso di pluralità di persone, per supportare l'applicazione della normativa suddetta, deve essere diretto alla fruizione di un'oggettiva destinazione dell'area, cioè la circolazione.

In conclusione, il primo e il terzo motivo risultano infondati, dovendosi affermare il seguente principio di diritto: presupposto dell'applicazione dell'art. 2054 c.c. e della correlata normativa attinente alla assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile da circolazione di veicoli è che il sinistro avvenga in un'area stradale o ad essa equiparata, onde in una pista innevata di sci, non essendo aperta per uso stradale bensì per l'esercizio di uno sport che non si avvale di un veicolo indicato dal Codice della strada per la circolazione, non può verificarsi un sinistro alle cui conseguenze risarcitorie sia applicabile la normativa suddetta.

3.2 Il secondo motivo denuncia omesso esame circa un fatto decisivo e discusso con conseguente violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1227 e 2054 c.c..

Secondo i ricorrenti erra la corte territoriale nell'affermare che a carico del R. non è emerso alcun concreto elemento di colpa poichè "sciava regolarmente sulla pista quando essa era ancora aperta e si trovò davanti l'autoveicolo del D. proveniente in direzione opposta"; in tal modo la corte avrebbe omesso di considerare che il veicolo del D. era fermo - ciò risulterebbe dalla testimonianza di S.M. - e "non in circolazione come dalla stessa falsamente affermato". Si tratterebbe di un fatto decisivo perchè comportante la corresponsabilità del R. ex art. 1227 c.c., "ben potendo lo stesso, come del resto fatto dal suo compagno di sciata, evitare di finire contro l'ostacolo fermo, perfettamente avvistabile ed in effetti avvistato"; altresì ne discenderebbe l'applicabilità dell'art. 2054 c.c. poichè la giurisprudenza di legittimità include nel concetto di circolazione anche l'arresto del veicolo su area pubblica.

Richiamato per quest'ultimo argomento quanto si è già ampiamente illustrato a proposito dei motivi primo e terzo, giungendo ad escludere che nel caso di specie vi sia stata circolazione, per il resto si osserva che, in effetti, lungi dal denunciare un vizio di diritto e tantomeno l'omesso esame di un fatto decisivo e discusso, i ricorrenti prospettano, inammissibilmente, una versione alternativa degli esiti probatori.

La corte territoriale, infatti, ha negato ogni corresponsabilità nella causazione del sinistro in capo al R. affermando che sciava regolarmente, e si trovò davanti un ostacolo del tutto imprevedibile senza poterlo avvistare con sufficiente anticipo per evitare lo scontro: su questo aspetto precisa che "non vi sono concreti elementi per affermare che il R. abbia avvistato la presenza del veicolo sulla pista con sufficiente anticipo e in una situazione tale da consentirgli, tenendo un comportamento improntato a criteri di normale prudenza e diligenza, di evitare lo scontro", e anzi aggiunge che "al contrario esistono elementi per ritenere che la comparsa dell'autoveicolo sulla pista sia stata improvvisa", allo scopo richiamando specifici elementi probatori, incluse le dichiarazioni dello stesso D.F. di essersi "trovato improvvisamente di fronte due sciatori", e rimarcando che l'essere riuscito l'altro sciatore a evitare l'impatto con il veicolo non può essere dato sufficiente, di per sè solo, a ritenere dimostrata una respontabilità concorrente del R. ex art. 1227 c.c., comma 1, (motivazione, pagina 8).

Non può quindi sostenersi che la corte territoriale abbia omesso di esaminare il profilo dell'eventuale corresponsabilità; che la testimonianza del S. fosse poi un "fatto" è evidentemente non sostenibile; d'altronde, al riguardo il motivo è del tutto generico, non riportando con adeguato dettaglio che cosa avrebbe dichiarato tale teste, e privo di autosufficienza.

Il secondo motivo, pertanto, è inammissibile.

3.3 Il quinto motivo, infine, denuncia nullità della sentenza per contraddittorietà della motivazione, perchè avrebbe la corte territoriale adottato "indifferentemente i concetti di persona e mezzo meccanico senza logica alcuna": si tratta, ictu oculi, di una censura riconducibile al dettato dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, previgente alla riforma qui applicabile - di cui al D.L. 22 giugno 2912, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modifiche nella L. 7 agosto 2012, n. 134, con conseguente inammissibilità.

Di ciò, in fondo, sono consapevoli gli stessi ricorrenti, allorquando nella parte finale del motivo tentano di deviare sul piano della mancanza di motivazione, invocando il dato normativo per cui una sentenza con una motivazione omessa o apparente è nulla, ma estendendovi l'insufficienza e la contraddittorietà. In realtà, pur non essendo del tutto condivisibile (in particolare, il riferimento alla L. n. 363 del 2003 è risultato è erroneo), la motivazione nel caso in esame sussiste e non è una motivazione di stile o comunque affetta da radicale genericità come dovrebbe essere una motivazione apparente. La contraddittorietà, poi, che lamentano i ricorrenti deriva proprio dal riferimento alla suddetta inapplicabile normativa posteriore: si tratta, dunque, non di un vizio motivazionale - il vizio motivazionale riguarda, d'altronde, le questioni di fatto, sulle questioni di diritto la motivazione non avendo incidenza, ivi rilevando solo la corretta applicazione da parte del giudice di merito delle norme di diritto (cfr. Cass sez 3 14 febbraio 2012 n. 2107, Cass. sez. 5, 2 febbraio 2002 n. 1374; Cass. sez. 2, 10 maggio 1996 n. 4388; Cass. sez. 1, 14 giugno 1991 n. 6752; Cass. sez. 2, 22 gennaio 1976 n. 199; trattasi logicamente di principio generale, relativo anche alla giurisdizione di legittimità in materia penale: cfr. da ultimo Cass. pen. sez. 1, 20 maggio 2015 n. 16372 e Cass pen. sez. 3, 23 ottobre 2014-11 febbraio 2015 n. 6174), - bensì della denuncia di un error in judicando, sul quale si è già detto a proposito del quarto motivo.

Anche questo ultimo motivo, dunque, non merita accoglimento.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna - in solido per il comune interesse processuale - dei ricorrenti alla rifusione a ciascuno dei controricorrenti delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

Sussistono D.P.R. n. 115 del 2012, ex art. 13, comma 1 quater, i presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo.

PQM

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna solidalmente i ricorrenti a rifondere ai controricorrenti le spese processuali, liquidate per ciascuno in un totale di Euro 3800, oltre a Euro 200 per esborsi e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 14 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2016