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Primo oro per gli azzurri nella 100 km di ciclismo. Il dramma del danese Jensen

60 anni fa i Giochi Olimpici a Roma
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La prima giornata di gare dei Giochi della XVII Olimpiade riservò subito una grande gioia per i colori azzurri. Il 26 agosto del 1960, l’Italia conquistò il titolo nella 100 chilometri a squadre di ciclismo, con una prova di grande forza del quartetto azzurro formato dal veneto Antonio Bailetti, dai lombardi Ottavio Cogliati e Giacomo Fornon e dall’Airone di Montefiascone, Livio Trapè. La cronometro a squadre si disputò a Roma per la prima volta, mentre in precedenza il titolo veniva assegnato sulla base dei tempi della prova individuale.

Trentadue le squadre partecipanti, che alle nove del mattino (in una giornata dal caldo infernale e con una temperatura di 34° all’ombra), a distanza di due minuti l’una dall’altra, lasciavano via dell’Oceano Pacifico per infilarsi sulla Cristoforo Colombo, in un circuito di 33,3 chilometri da percorrere tre volte. La prima a partire fu l’Indonesia e dopo una quindicina di squadre fu la volta della favorita Germania, che si presentò con Gustav-Adolf Schur ed Erich Hagen, due dei reduci del bronzo di Melbourne 1956. Seguirono, quindi, le altre favorite: Olanda, Italia ed Unione Sovietica.

Al primo quarto di gara gli azzurri conducevano sull’Unione Sovietica, la Francia, la Svizzera e la Germania. La Danimarca, invece, rallentò. Uno dei componenti del quartetto, Knud Enemark Jensen, fu vittima di un giramento di testa. Barcollò e fu quasi sul punto di cadere. A quel punto, Baunsof lo afferrò per la maglietta e lo tenne in sella, mentre Bangsborg lo sosteneva sull’altro fianco. Gli spruzzarono l’acqua della sua borraccia, che sembrava averlo rimesso in sesto e così Baunsof, rassicurato, lo lasciò andare. Passarono pochi secondi e Jensen crollò sull'asfalto torrido. Un flash-back drammatico: l’ambulanza lo trasportò privo di conoscenza sotto una tenda militare vicino all’arrivo, mentre la corsa procedeva.

A metà gara gli azzurri erano ancora in vantaggio, con i tedeschi che recuperavano e si portavano a sette secondi, seguiti dai sovietici a venticinque. Nell’ultimo e decisivo giro l’Unione Sovietica andò in crisi, mentre uno dei ciclisti tedeschi fu costretto ad abbandonare. Gli azzurri, tuttavia, continuavano a mantenere la testa della corsa, con Danimarca e Svezia alle spalle. Bailetti, Cogliati, Fornoni e Trapè produssero l’ultimo sforzo e tagliarono il traguardo al termine di una gara massacrante con il tempo di 2h14’33”53 (alla media di 44,589 km./h.); con un vantaggio di 2’23” sulla Germania (Schur, Adler, Hagen, Lörke) e 4’08” sull’Unione Sovietica (Kapitonov, Klevcov, Melichov, Petrov). Un trionfo davanti al giubilo della folla accorsa per festeggiarli.

Nel pomeriggio, però, la drammatica notizia: Jensen non ce l’aveva fatta, il ciclista danese non aveva più ripreso conoscenza. A distanza di quarantotto anni dalla scomparsa del maratoneta portoghese Francisco Lázaro, a Stoccolma, un altro luttuoso evento aveva colpito i Giochi. Un triste inizio per le Olimpiadi che cambiarono il mondo, ma che regalarono un sorriso tutto azzurro.

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