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Il tandem non teme avversari: Beghetto e Bianchetto scrivono la storia

60 anni fa i Giochi Olimpici a Roma
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L’Italia continuò la sua marcia trionfale anche nella seconda giornata dei Giochi della XVII Olimpiade. L’aria di Roma era un vero e proprio toccasana per la squadra di ciclismo, che dopo i successi del quartetto Bailetti, Cogliati, Fornoni e Trapè nella 100 chilometri a squadre e quello di Sante Gaiardoni nel chilometro da fermo, trionfò anche nella prova di tandem con la coppia formata da Giuseppe Beghetto e Sergio Bianchetto.

Il tandem azzurro era un duo che si parlava a colpi di pedali, sia per le origini padovane - l’uno di Tombolo e l’altro di Torre di Padova - sia per la comune età, classe 1939. Due coetanei che amavano la bicicletta, ma che fecero enormi sacrifici per inseguire la loro passione: Beghetto si alzava alle tre del mattino per andare ad allenarsi e poi, alle sette, con il padre, andava a lavorare come carpentiere meccanico; Bianchetto, invece, faceva il guardiano di vacche. La preparazione si svolse per venti giorni alle Frattocchie, un istituto di suore fuori Roma. A quel tempo, i pistard italiani erano tra i più forti al mondo e così, il C.T. Guido Costa, decise di non schierare Gaiardoni, preservandolo per la prova di velocità.Al titolare Bianchetto, quindi, affiancò proprio il suo compagno di squadra della Ciclisti Padovani, nonché fresco primatista del mondo sul chilometro da fermo, Beghetto.

La gara si disputò in due giornate: il 26 agosto il primo turno, i recuperi e i quarti di finale; mentre, il giorno successivo, le semifinali e le finali per le medaglie. Al via erano iscritte ventiquattro coppie in rappresentanza di dodici Paesi. Le sfide erano al meglio delle tre manches: quattro giri di pista ognuna, per un percorso di due chilometri. Gli azzurri non partirono con i favori del pronostico, che, di contro, erano sulle spalle dei campioni uscenti dell’Australia - con Ian Browne, campione olimpico a Melbourne 1956, in coppia con Geoff Smith - e dei Paesi Bassi.

Valori tecnici che saltarono già al primo turno, con la doppia sconfitta di Australia ed Olanda, rispettivamente con Germania ed Unione Sovietica e che costrinse le due grandi favorite ai ripescaggi. Uno spareggio drammatico che premiò gli orange a spese degli aussies. Gli azzurri, al contrario, furono esentati dal primo turno ed entrarono in gara nei quarti di finale, dove superarono in due sole manches gli statunitensi Jack Hartman e David Sharp. Il giorno successivo, in semifinale, si trovarono di fronte la forte coppia olandese composta da Marinus Cornelis Paul e Mees Gerritsen, che aveva superato a fatica la Francia in tre manches.

Gli olandesi, però, nel tentativo di infilare gli azzurri all’interno, a causa di un contatto caddero rovinosamente e dovettero arrendersi in due manche. Nell’altra sfida, poi, i tedeschi Jürgen Simon e Lothar Stäber sconfissero i sovietici Boris Vasilyev e Vladimir Leonov. Il bronzo andò ai sovietici, che non disputarono la finalina, a causa del forfait dei Paesi Bassi impossibilitati a gareggiare per i postumi della caduta patita nella sfida con gli azzurri.

La finalissima per il titolo, in un Velodromo Olimpico stipato in ogni ordine di posto, metteva quindi di fronte l’Italia e la Germania. Beghetto e Bianchetto prima di scendere in pista avevano studiato gli avversari, individuando alcuni dettagli della loro strategia. Nella prima manche decisero quindi di portarsi subito in testa e con uno snervante “zig zag” bloccarono sul nascere ogni tentativo di rimonta tagliando il traguardo con il tempo di 10”7. Nella seconda, contrariamente, Beghetto e Bianchetto fecero credere ai tedeschi di essere ancora nella fase di studio, ma ad un giro e mezzo dalla conclusione, con un colpo ad effetto, partirono in volata dalla parte alta del velodromo - fino a sfiorare i 90 km/h - lasciando di stucco Simon e Stäber, che dovettero così arrendersi davanti ai nuovi campioni olimpici.

Dodici anni dopo il successo di Terruzzi e Perona a Londra, il titolo del tandem ritornò prepotentemente in Italia, grazie a quei due ventunenni dalla simbiosi perfetta che scrissero la storia di quell’indimenticabile 27 agosto 1960.

 

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