Vittoria indimenticabile di Livio Berruti: primo olimpionico europeo sui 200 metri

60 anni fa i Giochi Olimpici a Roma
images/1Primo_Piano_2020/Berruti1.jpg

Sabato 3 settembre 1960 sarà ricordato come un pomeriggio leggendario. Ai Giochi della XVII Olimpiade, Livio Berruti entrò nella storia: per la prima volta un atleta non nordamericano vinse i 200 metri olimpici. La gara, infatti, introdotta nel 1900 a Parigi, era stata appannaggio per dieci volte da atleti statunitensi e due volte da canadesi.Poi l’impresa di strappare il titolo olimpico al continente americano riuscirà solo al sovietico Valery Borzov (Monaco 1972), a Pietro Mennea (Mosca 1980), al greco Kostas Kenteris (Sidney 2000).

Il ventunenne studente di chimica fece letteralmente impazzire lo Stadio Olimpico che, gremito in ogni ordine di posto, fu tutto ai suoi piedi per celebrare quel risultato eccezionale. E pensare che in gioventù avrebbe voluto tanto diventare un tennista, ma poi, al ginnasio, il professor Melchiorre Bracco, lo indirizzò prima verso i salti e poi, nel 1956, dopo una sfida vinta con Saverio D’Urso, il miglior velocista della scuola, iniziò il suo percorso nella velocità.

A soli diciotto anni, nel 1957, a quasi vent’anni di distanza, eguagliò il record italiano nei 100 metri (10”4) stabilito nel 1938 da Orazio Mariani. Da quell’anno fece suoi i titoli italiani, sia nei 100 che nei 200 metri, ininterrottamente fino al 1962. Un vero e proprio crescendo di risultati. Nel 1959 a Malmoe eguagliò il record italiano nei 200 metri con il tempo di 20”8, per poi migliorarlo di un decimo all’Arena Civica di Milano. A Duisburg, invece, non solo superò nei 100 metri il fortissimo tedesco Armin Hary (che proprio a Roma si aggiudicherà l’oro), ma ebbe la meglio sul primatista europeo dei 200 metri, il francese Abdoulaye Sèye. Nello stesso anno fu l’unico a sconfiggere lo statunitense Ray Norton, uno dei più forti velocisti dell’epoca.

Alla vigilia dell’Olimpiade, però, insieme all’allenatore delle Fiamme Oro, Aristide Facchini, decise di gareggiare solo nei 200 metri. Una scelta che si dimostrerà azzeccata. Il 2 settembre, i 62 partecipanti si sfidarono in dodici batterie, che qualificarono i primi due classificati, cui vennero aggiunti i tre migliori tempi. Berruti vinse la settima batteria con 21”0, davanti al rappresentante delle Bahamas, Thomas A. Robinson, che chiuse in 21”4. Si qualificò anche l’altro azzurro Salvatore Giannone, che terminò al secondo posto nella dodicesima batteria; mentre, l’altro compagno di squadra, Armando Sardi, fu eliminato.

Nei quarti di finale, poi, Berruti s’impose nella seconda batteria - delle quattro previste, che qualificavano i primi tre atleti - in 20”8, precedendo il polacco Marian Foik e il francese Paul Genevay. Giannone, purtroppo, giunse settimo nella sua batteria e fu eliminato.

L’indomani, nelle semifinali che qualificavano i primi tre delle due batterie in programma, Berruti si trovò un parterre di avversari formidabili. Il velocista torinese, infatti, ebbe la sfortuna di doversi confrontare con tre primatisti del mondo: gli statunitensi Ray Norton e Stone Johnson e il britannico Peter Radford. Ma non solo, in finale si trovò anche il campione uscente, Bobby Joe Morrow, oltre al francese Genevay.

Il C.T. Giorgio Oberweger, che prima della gara andava sempre da Berruti, non si presentò, forse per non dargli la brutta notizia che sarebbe stata una batteria al limite della missione impossibile. L’azzurro, quindi, scoprì il nome degli avversari un momento prima della partenza. Non si scompose, convinto del suo stato di forma e corse i duecento metri più importanti della sua vita con una determinazione incredibile, distanziando di due decimi Norton e di tre Johnson.

Ad un certo punto il boato della folla, Berruti aveva eguagliato il record del mondo con uno strepitoso 20”5, che non solo gli aveva permesso di sovvertire il pronostico, ma lo proiettava tra i favoriti per le medaglie. Nell’altra batteria si qualificarono il francese Sèye (20”8), il polacco Foik (21”0 e lo statunitense Lester Carney (21”1). Neanche il tempo per recuperare le energie, che circa due ore dopo, alle 18.00, era in programma la finale. Mentre tutti si allenavano, l’azzurro se ne andò negli spogliatoi, al fresco, con una bottiglia di aranciata, per riposarsi. Prima della partenza fece gli auguri ai suoi avversari, come se fosse ai blocchi di partenza quasi per caso. Una mossa che li spiazzò.

Fu protagonista di una partenza perfetta, con un cambio di falcata dopo la curva, con l’occhio al traguardo e le orecchie protese al sopraggiungere dei passi degli avversari. Berruti vinse ancora con uno straordinario 20”5, precedendo di un decimo Carney e di due Sèye, stramazzando poi a terra dopo l’arrivo. Non succedeva dal 1928 che gli Stati Uniti si lasciassero sfuggire i 100 e i 200 metri, mentre, per la prima volta, entrambe le gare furono vinte da atleti europei. Gianni Brera scrisse: “I muscoli deflagrano come in frenesia, ma il gesto è di un’eleganza incredibile, mai vista”. Quello stile indimenticabile di Livio Berruti.